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Snapchat è un flop sui conti ma c'è dell'ottimo materiale per sceneggiature

Michele Masneri

Peccato per i conti in perdita, con la veste grafica super hipster quella di Snap è la trimestrale più carina di sempre 

San Francisco. Snapchat, se non ci fosse bisognerebbe inventarla. La app per fare le orecchie di gatto alle foto combatte il suo fato tra sublime macchina da soldi e disastro semiannunciato. Snap ha quella vaghezza di poche creature, del gambling siliconvallico, sarà truffa o sarà la nuova corsa all’Oro? Non c’è algoritmo che tenga per questo genere di previsioni, a un certo punto è pura roulette, vi ricordate quando Google dodici anni fa si quotò in Borsa a 80 dollari e tutti a dire, figuriamoci, sarà un disastro. Snap ha pure l’aggravante che nessun analista-broker ha più l’età per usarla, dunque stime ancora più difficoltose. Ecco che ha presentato i primi conti trimestrali, conti sfacciati, con perdite per 2 miliardi di dollari che hanno affossato il titolo quasi del 30 per cento. Eppure la trimestrale è la più carina di sempre, intesa come estetica. Infatti il gruppo di Los Angeles (Silicon Beach, come è soprannominata la nuova scena tech californiana a sud), ha presentato i bilanci in una veste grafica gialla e bianca, molto hipster e modernista, che ricorda la clamorosa mostra in corso al museo d’arte contemporanea di Berkeley, “Hippie Modernism”, dove si vedono gli influssi che la Controcultura ha avuto sulla rivoluzione tecnologica (c’è già tutto, dai poster psichedelici le cui grafiche influenzeranno col passaggio al carattere Helvetica, tutto l’immaginario Apple, a un computer anni Settanta, a gettone, chiamato “community memory”, cioè un progenitore di Facebook).

    

E’ quello che c’è dentro i conti che non va molto bene, e in particolare il calo dal trimestre precedente di fatturato, e la ridicola compensazione per i fondatori – 2 miliardi di dollari è il doppio di quanto si presero a Facebook al momento del collocamento, quattro volte Twitter. Insomma, in attesa di capire se Snap farà la fine di Second Life e delle varie piattaforme indispensabili della durata di un quarto d’ora, o se invece quella di Twitter, ennesima “promessa” che non fa mai utili, di sicuro Snap oltre che per le foto con le orecchie di gatto avrà portato a un contributo al nostro immaginario: si attende ben presto un film tipo “Lupi di Silicon Beach”, con Evan Spiegel, il fondatore trentenne che esce solo con modelle, definito “molto arrogante” (molto benvoluto quando Snap era la promessa, d’ora in poi chissà) e che, si dice, aprì la sua compagnia perché i genitori losangelini abbienti non gli compravano la Bmw. Come plot, non c’è male.

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