Cercare junk food all'aeroporto di Los Angeles e trovare dappertutto il cavolo nero

Michele Masneri

Una volta c’erano le patatine fritte, poi è arrivato il concetto delle cento miglia, tutto doveva essere prodotto a cento miglia ma adesso vogliono proprio il chilometro zero. Adesso il piatto più di moda è il kale

Los Angeles. Rimanere chiusi un giorno nell’aeroporto di Los Angeles tipo film “The Terminal”, cercando junk food e imbattendoci invece nel cavolo nero e nella temperie culinaria gourmande. E’ la nostra triste esperienza e nello specifico il Terminal è quello del Los Angeles Airport, in codice LAX, settimo scalo più trafficato del mondo. Mentre vediamo passare Annette Bening che si va a imbarcare per qualche suo volo, superiamo i controlli ma non per partire: rimarremo infatti a terra come nel film, e non perché ci abbiano revocato il passaporto ma perché in gita guidati da Rocco Pascale, da San Marzano, chef di HMS Host, storico colosso della ristorazione americana rilevato qualche anno fa dagli italiani di Autogrill, che se la comandano negli aeroporti Usa, con 2.250 punti vendita in 84 scali e 112 “aree di sosta in viaggio”, gestendo anche marchi “powered by” Autogrill come Starbucks, Burger King, Pizza Hut. 

Ma qui a LA niente hamburger, Pascale in gita ci porta invece nella paninoteca di fascia alta “Ink Sack”, baretto gourmet inventato da Michael Voltaggio, chef californiano, già boss dell’Ink, miglior nuovo ristorante d’America, una stella Michelin, e poi arrivato qui come ultimo ritrovato della cucina aeroportuale. Poi c’è “The Kitchen”, divisione dello chef Wolfgang Puck, già inventore dello “Spago” a Beverly Hills, dove vanno a mangiare i personaggi di Bret Easton Ellis. E poi una pizzeria “800 Degrees”, dove 800 sono i gradi (fahreneit) a cui cuoce questa pizza napoletana del pizzaiolo Giovanni Di Iorio; poi ancora un Border Grill (messicano), un “Blu2O” tipo ristorante di mare per surfisti, uno Starbucks, un ristorantone Umami Burger, e poi ancora “The Larder”, con immancabili libri di cucina di fascia altissima su Chez Panisse, il Bottura californiano. Praticamente è diventato impossibile mangiare porcherie, pure in aeroporto. “La California è diventata una specie di tempio della cucina, la gente è sempre più esigente”, dice al Foglio Michael Gleason - executive chef, una carriera tra grandi alberghi e adesso qui a sovrintendere alla ristorazione aeroportuale. “Tra tv, libri, Masterchef la parola d’ordine è locale, vogliono tutto locale, dalla birra in su. Una volta c’erano le patatine fritte, poi è arrivato il concetto delle cento miglia, tutto doveva essere prodotto a cento miglia ma adesso vogliono proprio il chilometro zero. Adesso il piatto più di moda è il kale”, dice il manager, cioè il da noi non esaltante cavolo nero, ma che qui è onnipresente.

Sembra il fungo dell’Eur, ma è La

Per vagare da un ristorante all’altro passiamo sotto infiniti corridoi perché quando il LAX fu costruito, ci raccontano, ogni compagnia aerea aveva il suo terminal e non usavano le coincidenze, dunque oggi per andare da una parte all’altra si fanno ancora chilometri a piedi in attesa del mega rinnovamento dello scalo in atto. Ma poi dopo varie camminate nei meandri dell’aeroporto finiamo su nel celebre Theme Building, una specie di grande satellite che è il simbolo stesso dell’aeroporto, edificio immaginifico che abbiamo visto mille volte al cinema, inaugurato nel 1961 da Lyndon Johnson, oggi monumento nazionale, e qui dentro c’è la cucina che rifornisce i nostri ristoranti (entriamo, a partire da una cella frigorifera da trecento metri quadri dove un ragazzo con la felpa viene sgridato dallo chef perché non tiene abbastanza in ordine). Qui si fanno tutti i pasti del terminal, mentre all’ultimo piano sembra di stare sul Fungo dell’Eur, solo che sotto si vede Los Angeles, con salottini coloratissimi e soffitti e pavimenti effetto madreperla, mancorrenti di alluminio curvi da piscina, divanetti di pelle grigia, e porte dei bagni che si aprono con un bottone e meccanismo d’epoca, e siamo in piana “Mad Men”, si vede anche la scritta “Hollywood”, e ci si immagina perfettamente pranzi molto alcolici con molti Martini anni Sessanta; prima che iniziasse l’èra del cavolo nero.

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