Lorde a Seattle nel 2013 (foto via Wikimedia)

L'album di una ragazzina del 1996 che ci fa pensare a quanto abbiamo paura di crescere

Stefano Pistolini

Lorde, 17 anni dalla Nuova Zelanda, perché il mondo ora è piccolo e si può crescere nella periferia di Auckland e ugualmente ritrovarsi, ancora virgulti, sulla cima del mondo, coi dischi che vendono a valanga in paesi lontani

Un pezzo scritto da un’educata distanza. Senza pretendere di condividere, per il soggetto di cui parliamo, lo stesso entusiasmo riservatole da cinguettanti consumatori di musica che hanno un terzo dei nostri anni. Però provando a capirne le ragioni. Lei si chiama Lorde, 17 anni – nata alla fine del 1996, non so se mi spiego – dalla Nuova Zelanda, perché il mondo ora è piccolo e si può crescere nella periferia di Auckland col nome di Ella Yelich-O’Connor e ugualmente ritrovarsi, ancora virgulti, sulla cima del mondo, coi dischi che vendono a valanga in paesi lontani e un esercito di coetanei che ti seguono con fiducia, riconoscenza e devozione. Vogliamo far finta di niente e ricominciare la solfa dei “vecchi tempi”? Per favore. Lorde pubblica l’album “Pure Heroine” che è pura trasversalità musicale.

 

Proviamo a collocarla: sottofondi elettronici sofisticati e strutturati, un intenso fattore visuale, quasi cinetico. Voce educata e notevole, dall’incedere singhiozzante, una sensualità acerba, pieghe di malinconia e d’impazienza, un bel vibrato naturale. Lana Del Rey sarebbe un possibile modello d’ispirazione, se non facesse sorridere vedere Lana assurgere al ruolo di modello – riecco il nostro solito paternalismo – perché ovviamente questo non conta per chi sente musica al massimo da tre o quattro anni. I brani di “Pure Heroine” sono complessi, ricchi, avvolgenti, con frequenti cambi di ritmo e d’incedere, florilegi vocali giocati tra le melodie di Lorde e il contorno armonico dei cori. Il battito porta in sé ricordi del suono “dark” inglese di fine Novecento, da Kate Bush ai Cocteau Twins, ma anche le recenti prodezze di James Blake e di tanto calmo dubstep. Basta sentirlo qualche volta e il fascino dell’album scintilla. Vien voglia di sapere di più di quest’enfant prodige che si fa fotografare a New York in compagnia di David Bowie e Tilda Swinton.

 

   

Per cominciare Lorde alla sua tenera età si è già sistemata per il futuro: un contratto da 2 milioni di euro le è stato accordato da una multinazionale e non è che l’inizio. Per lei le cose hanno cominciato a cavalcare, sulla base della bontà empatica del suo lavoro, presto intercettato da milioni di Lorde in giro per il pianeta, ma anche con eventi tutt’altro che annunciati: come il neo sindaco di New York, De Blasio, che come canzone della vittoria sul palco dell’elezione ha fatto suonare “Royals”, la prima hit firmata dalla ragazzina neozelandese, che contiene gli ingredienti essenziali della sua poetica – la base hip hop, i ricami vocali, la scudisciata poetica al mondo del pop dove pure è l’ultima arrivata: “Io non invidio il codice postale di chi è più fortunato”, canta Lorde, “non sono un’aristocratica, non ho il sangue blu, noi cerchiamo brividi diversi”. Già, Kate Bush – troppi anni fa. O la prima intransigente rivelazione di PJ Harvey, quand’era la ragazza con la chitarra elettrica senza troppe implicazioni intellettuali. Guardiamo le foto di Lorde e nei suoi occhi rivediamo la stessa luce. Certo, nella sua precocità si potrebbero cogliere segnali allarmanti, i discografici le fanno la corte da quando ha 12 anni. Poi Scott Maclachlan, il pigmalione di Groove Armada e Basement Jaxx emigrato in Nuova Zelanda, le ha fatto firmare un contratto per il suo management prima che fosse teenager. Ma Lorde per ora tiene duro e non sbaglia. Ha detto no a un album di cover e per registrare “Pure Heroine” ha scelto come partner un musicista di Auckland più maturo di lei, il trentenne Joel Little.

 

Adesso, fatta la sortita, si dedica a dar forma al suo personaggio: nelle interviste parla di neofemminismo, prende le distanze dalla Del Rey dicendo che il suo messaggio è fiacco, le piace la scomunicata Miley Cyrus, anche in versione scandalettara: “Ha passato la vita a lavorare con la Disney: avrà diritto di divertirsi un po’!”, dice. Poi ammicca a Kanye West e Jay-Z che ormai sono gli assodati Lennon-McCartney del XXI secolo americano. E dei ragazzi della sua età dice che hanno paura d’invecchiare. Quando hai 15 anni, pare, l’idea di averne 18 può sembrare un incubo. C’è in circolo un enorme mito della propria giovinezza. Un discorso interessantissimo sul quale vogliamo ragionare. A distanza, certo. Forse davvero quando eravamo in terza liceo iscriversi all’università era un insondabile viaggio con la macchina del tempo. Se solo riuscissimo a ricordare. Di colpo ci pare evidente che seguire le tracce e i suoni di Lorde sia più assai rivelatore che sentire ancora una volta “After the Gold Rush”.

Di più su questi argomenti: