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a canestro
New York ora sogna di vincere anche nel basket
Dopo diverse stagioni di ascesa, i Knicks si aggiudicano la Nba Cup e spezzano un tabù che durava dal 1973. Ora la squadra è forte e matura: puntare all’anello non è più utopia. E se n’è accorta anche la città
Non sarà l’anello, per ora, ma il brivido della vittoria si fa comunque sentire. E non potrebbe essere altrimenti: l’ultima volta che i New York Knicks vinsero un trofeo correva l’anno 1973. Il presidente Nixon stava per essere travolto dallo scandalo Watergate, al cinema usciva “La stangata” e lo skyline di Manhattan si preparava ad accogliere le Twin Towers. Nessuno, all’epoca, poteva immaginare che i canestri di Willis Reed non avrebbero avuto seguito per oltre mezzo secolo. Ha spezzato la maledizione la squadra del 2025, corale e arrembante, conquistando la Nba Cup a Las Vegas al termine di un percorso netto: battuti i Raptors ai quarti, i Magic in semifinale e i San Antonio Spurs nell’ultimo atto, sempre con almeno dieci punti di scarto – anche se la sfida contro Wembanyama e soci è rimasta sul filo dell’equilibrio fino ai minuti finali, quando gli arancioblù hanno spinto sull’acceleratore senza guardarsi più indietro (124-113). Jalen Brunson alza la coppa e il meritato titolo di Mvp: il grande basket è tornato nella Grande mela, non certo da oggi. Ma da oggi nessuno può più ignorarlo.
Si diceva, il playmaker 29enne è l’incontrastato spirito-guida del gruppo. Eppure nessuno più di questi Knicks rappresenta il concetto di collettivo: dalla grinta tuttocampista di Josh Hart ai rimbalzi di Mitchell Robinson, dalla versatilità di OG Anunoby all’estro atipico di Karl-Anthony Towns. Un roster profondissimo, ormai costruito per vincere dopo diverse annate di buone premesse. Dal 2020 in poi – dopo una sola partecipazione nel precedente ventennio – New York è approdata ai playoff quattro volte su cinque e la scorsa primavera ha sognato fino alle finali di Conference. Non abbastanza, per la dirigenza della franchigia, che decide di separarsi da coach Thibodeau dopo oltre 400 panchine. Al suo posto arriva Mike Brown da Sacramento: il basket dei Knicks si fa subito più energico e offensivo, grazie anche all’allungamento delle rotazioni. Obiettivo dichiarato: il titolo Nba, da principale contender a Est per insidiare gli invincibili Thunder. Non era scontato trovare la quadra così presto e alzare una coppa al primo tentativo – sia pure a metà stagione, ma si sa, vincere aiuta a vincere. “La nostra filosofia è sacrificio, connessione, competitività”, spiega l’allenatore nel postpartita. “Credere nel percorso e in ciascun compagno: non importa chi gioca, qui siamo tutti pronti a interpretare il nostro ruolo”.
E a sostenere le alte aspettative sulle spalle di New York, che per la prima volta si presenta tra le favorite dichiarate per la corsa all’anello. È un’atmosfera inedita per intere generazioni di tifosi, accesi dall’eccentrica adrenalina di Spike Lee a bordocampo e dalle prodezze di Brunson sul parquet. “La Mecca del basket”, cioè il Madison Square Garden a due passi dall’Empire State Building, è nel pieno di una nuova ondata di euforia. Di consapevole potenza sportiva ed economica: un biglietto per i Knicks ormai va dai 200 dollari in su. L’arena però è regolarmente sold-out. Gli appuntamenti con la storia si pagano caro e volentieri, soprattutto se non ci si ricorda più come sono fatti.