Davide Bartesaghi (foto LaPresse)
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Davide Bartesaghi è un crocevia
L'esterno del Milan è figlio di una terra di mezzo e di un calcio che non ama farsi incasellare. Così è riuscito a convincere anche San Siro del suo talento
Erba è uno strano crocevia, è un punto posto a metà della geografia lombarda, una terra di confine suo malgrado nonostante nessun confine sia mai passato davvero per di lì. A metà strada tra Milano e Bellagio, tra Como e Lecco, equidistante tra Milano e Bergamo. Un altrove per chiunque, proprio per questo contendibile. Comasca per provincia, almeno per amministrazione recente, troppo a nord per essere brianzola, troppo a sud e lontana dal Lario per essere laghee, troppo distante da Milano per essere milanesizzata, troppo distante da Bergamo per essere bergamizzata. Eppure, almeno per dialetto, un po' milanesizzata e un po' bergamizzata. Lo scrittore Giuseppe Pontiggia, che a Erba ci passò l'infanzia, provò ad analizzarle la parlata. La definì "un interessante imbastardimento lessicale e sintattico tra comasco, milanese e bergamasco, nel quale è impossibile determinare quale prevalga. Qualcosa di sorprendente, vista la vicinanza con Como".
Davide Bartesaghi è nato a Erba e anche lui è un crocevia di giocatore. Mancino di piede ma bravo pure col destro; esterno di difesa o di centrocampo, ma abile anche a fare il centrale; grande e grosso ma rapido e veloce. Soprattutto partito a cinque anni da Erba in direzione Bergamo e poi passato a sette dall'Atalanta al Milan. Nato attaccante, diventato difensore. Certo, difensore a suo modo: sempre con la testa alta a vedere cosa c'è davanti. Eppure con la coda dell'occhio sempre a guardare indietro. Schivo, preciso, un musone - o almeno così dicono -, eppure capace di farsi ben volere, di avere sempre un pensiero e una parola per tutti - a volte solo una -, di far sganassare senza preavviso.
Davide Bartesaghi è uno che ha in sé la quiete del Lario, senza nemmeno averci vissuto accanto. E che come il Lario sa riempire qualsiasi cosa, prendersi gli spazi che ritiene suoi fregandosene del volere altrui. È uno che è nato vecchio, almeno per maturità in campo, serietà e senso di responsabilità, ma che del vecchio ancora non ha la superbia di considerarsi meglio di quanto è davvero. "Ascolta, capisce, applica. E quando applica si vede che ha capito, che ha ascoltato davvero", ha detto di lui un collaboratore di Massimiliano Allegri. Piccolo indizio per capire che Davide Bartesaghi migliorerà ancora, che lì, lungo la linea bianca che delimita ciò che è in campo e ciò che è fuori campo, continuerà a correre a lungo.
Continuerà a far muovere veloci quelle sue gambe lunghe e potenti, seguite da un busto che non sempre sembra capace di tenere il passo e che proprio per questo è sempre qualche decina di centimetri avanti, sempre alla ricerca di un baricentro incerto e creativo.
San Siro, casa sua, l'aveva accolto con più scetticismo che speranza. Era abituato ad altre movenze su quella fascia. Era stato abituato all'eleganza sopraffina di Paolo Maldini, alla velocità esuberante di Serginho, alla potenza che sembrava infinita di Theo Hernández. E così, vedendo quel giovanotto che ciondolava come un cammello non se l'era sentito di sperare davvero. La nostalgia è un'infezione da debellare, almeno nel calcio, ha effetti nefasti, soprattutto per chi percepisce di non poter farci nulla per batterla. Fortuna per il Milan, che Davide Bartesaghi ha capito presto che la nostalgia è canaglia e se ne è fregato di cosa pensava di lui San Siro. Eretico. A volte però l'eresia è salvezza, almeno sino alla condanna di chi si è arrogato il potere di non cambiare. Davide Bartesaghi ha continuato a correre e correndo ha convinto Massimiliano Allegri a dargli opportunità e minuti. Minuti che sono diventati ore. Ore che si sono trasformate in settimane e in mesi. E nella convinzione che saranno anni.
E pure San Siro ha iniziato a capirlo. Ha urlato incredulità al suo primo gol in Serie A. Una incredulità divenuta gioia assoluta al secondo. Il tutto in tredici minuti.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.
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