Foto LaPresse
serie a
Fiorentina-Juventus alla maniera di Dante
Quest'anno i viola e i bianconeri hanno qualcosa in comune: un inizio di campionato al di sotto delle aspettative e tanta voglia di rimonta
Oggi alle 18 allo stadio Artemio Franchi di Firenze andrà in scena Fiorentina-Juventus, una delle sfide più sentite e cariche di storia del calcio italiano.
Sarà per la stagione 1981-82 quando i viola gettarono alle ortiche lo scudetto durante l'ultima giornata di campionato vinto poi dai bianconeri, sarà per la finale di Coppa Uefa del 1990 che vide ancora trionfare la Juve, o per lo 0-11 subito dai gigliati nel 1928, quando la Vecchia Signora non ebbe pietà di una squadra rimaneggiata e piena di dilettanti, sta di fatto che questa rivalità dura da quasi un secolo. La partita di oggi ne è un nuovo capitolo.
Questa volta però le due squadre hanno qualcosa in comune: due tecnici appena arrivati. Segno che le cose, fin qui, non sono andate esattamente come ci si aspettava. Fiorentina e Juventus infatti si affrontano con stati d’animo molto diversi: i viola, al di là delle velleità di inizio campionato, sono inspiegabilmente ultimi in classifica e cercano addirittura la prima vittoria stagionale. I bianconeri invece vogliono trovare un minimo di continuità e guadagnarsi tre punti utili a tenere viva la speranza di competere per le posizioni che contano.
Questa partita ha anche un valore identitario: Firenze prova a difendere la sua dignità, Torino a rivendicare la sua (ad oggi solo presunta) supremazia. Non si può parlare di una partita del genere senza evocare l’immortale Dante Alighieri che non ha solo il naso gobbo ma anche la fede calcistica perché è il miglior poeta di tutti i tempi. Poco amato dai suoi concittadini, che lo cacciarono in esilio lasciando una ferita aperta che ancora sanguina dopo secoli, Dante, pur lontano, non smise mai di pensare alla sua patria ingrata – nel XVII canto del Paradiso scrive: "Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale" – ed evidentemente non ha ancora digerito quell’affronto. Oggi decide di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (e speriamo che vada a finire come dice lui).
Godi Fiorenza, ma non questa sera,
ché l’Artemio Franchi ruggisca invano
di fronte alla truppa bianconera.
Non basta il giglio, né il tuo vanto arcano,
ché Vlahovic, già figlio del tuo giardino,
or ti punisce con piede sovrano.
E Kean, che invece fu nostro bambino,
si guarda in giro tra facce smarrite:
rimpiange il passaggio del cartellino.
Le impronte di Pioli son già sparite:
muta la guida, non certo la sorte,
ma è il campo a mostrar verità scolpite.
Spalletti, dopo Tudor, il consorte
di brevi giorni già svaniti al vento,
prova a rivoltare la malasorte.
Io, Dante, sento rancore, non mento,
contro la patria che esul mi fece,
tifo la Juve con gran godimento!
Firenze che grida, che sogna, e invece
Yildiz che danza con passo leggero
soffoca l’urlo in gole di pece.
Fagioli annaspa nel buio più nero,
liscia ogni palla, è una cosa indecente,
non è più il fenomeno bianconero.
Thuram il guerriero, in mezzo è imponente,
il Chico difende e smista con cura,
e anche Koopmneiners terzino sorprende.
C’è un fischio: rigore! La curva è scura,
tra i denti a fatica trattiene il fiato
e pur resta muta la mia scrittura.
Io rido amaro, profeta dannato,
ché la città che mi cacciò lontano
ora mi fischia se vengo inquadrato.
Verdetto: dischetto! Il VAR è sovrano!
Nella rincorsa il tempo si ferma,
il cuore rimbomba, è disumano.
Kean segna, trema la rete, conferma
dal Var. Ma la contesa è già ripresa:
spinge la Juve, Fiorentina inferma.
Vanoli è in panca con faccia distesa,
Spalletti fa i cambi con grande stile,
la Juve segna due gol a sorpresa.
Il ritmo del mio canto si fa ostile
nel dire di Firenze la caduta,
e il godimento serpeggia sottile.
La sportività che sempre è dovuta,
mi fa tener la sciarpa nascosta
ma la mia fede è ormai risaputa.
Oh città ingrata, che brutta batosta!
Tu mi cacciasti con dura sentenza,
e ora la Juve ti rende risposta.
Queste terzine son chiaroveggenza
e la speranza non è il tabellino.
Mi affido al destino con impazienza.
Così si conclude il canto divino:
la zebra che mangia il giglio fiorito
e Dante gode da buon juventino.