Emerich Jenei (foto Getty Images)
1937-2025
Emerich Jenei, l'allenatore anti-sistema nella Romania di Ceausescu
È morto il tecnico che vinse alla guida della Steaua Bucarest la Coppa dei Campioni nella stagione 1985-86. Uomo dai modi di fare eleganti fu il grande bastian contrario di Romania, capace di scontrarsi sia con il regime sia con la democrazia
Raccontò Helmut Duckadam, il portiere che nella finale di Siviglia della Coppa dei Campioni stagione 1985-86 riuscì a parare tutti e quattro i rigori calciati dai giocatori del Barcellona permettendo alla Steaua Bucarest di vincere la coppa, che “fummo ricevuti da Ceaușescu dopo la finale col Barcellona e rimanemmo sorpresi dalla sua freddezza. Addirittura, ci disse che, se ci fossimo preparati meglio, avremmo potuto vincere nei 90 minuti!”.
Quella freddezza poteva sorprendere, ma fino a un certo punto. Perché per il dittatore quella coppa alzata al cielo di Siviglia più che una gioia nazionale e un grande momento di propaganda per il suo regime rappresentava una vittoria per una delle persone più detestabili, almeno dal suo punto di vista, di tutta la Romania: Emerich Jenei, l’allenatore della Steaua Bucarest campione d’Europa.
E sì che Emerich Jenei, morto nella serata di mercoledì 5 novembre, era una persona calma e mite, che non sorrideva quasi mai, ma aveva modi gentili e l’eleganza del gentiluomo.
Nicolae Ceaușescu però detestava Emerich Jenei. Lo detestava perché era una persona libera nonostante il regime, perché si permetteva di dire la sua senza attenersi a quello che il regime avrebbe voluto sentirsi dire, perché se ne fregava cordialmente dei diktat della Steaua Bucarest, amministrata allora dal figlio del dittatore Valentine Ceaușescu. Soprattutto perché quella vittoria rappresentò il trionfo dell’allenatore nei confronti della presidenza.
Serve risalire a diversi anni prima per capire la genesi del grande astio. Valentine Ceaușescu al termine della stagione 1977-1978 decise di licenziare Emerich Jenei, l’allenatore che in tre stagioni era riuscito a vincere due campionati rumeni, riportando il club a conquistare uno scudetto dopo otto stagioni. Era bravo Jenei, ma faceva di testa sua, metteva la bocca su tutto e non stava a sentire nessuno, nemmeno il presidente, nemmeno il presidente della Repubblica Socialista di Romania.
Valentine Ceaușescu era convinto che la sua squadra potesse benissimo fare a meno di un uomo del genere. Convinzioni completamente errate: i successivi cinque campionati furono un susseguirsi di fallimenti sportivi.
Emerich Jenei però stava simpatico a Constantin Olteanu, che tra il 1980 e il 1985 fu ministro della Difesa della Repubblica Socialista di Romania. Erano entrambi cattolici in un paese dove non si sarebbe potuti essere cattolici. Ed erano entrambi antisovietici in un paese nel quale non si poteva essere antisovietici nonostante avesse scelto un’interpretazione autonoma e stravagante del comunismo.
Fu Constantin Olteanu a convincere Valentine Ceaușescu di riportare Emerich Jenei in panchina nella stagione. Anzi, fu il generale Constantin Olteanu a imporne il ritorno nella stagione 1983-1984. Emerich Jenei si risedette in panchina e per due punti mancò il titolo. Proprio per questo venne cacciato.
Tre sconfitte nelle prime tre partite e il rischio di una sommossa popolare nei confronti della società (e poi chissà... il regime non godeva di ottima salute), portarono il dittatore Nicolae Ceaușescu a consigliare al figlio a dare retta al generale Constantin Olteanu e riportare in panchina Emerich Jenei.
Ed Emerich Jenei, una volta ripresa la guida della squadra, iniziò a vincere, mettendo in panchina tutti i calciatori voluti dalla presidenza, puntando su quel gruppo che l’anno prima aveva forgiato secondo i suoi comandamenti: non bestemmiare, non mangiare semi di girasole, dormire almeno nove ore, fregarsene di cosa diceva il partito sulla libertà, in campo e fuori pensare con la propria testa, leggere il Vangelo nei momenti di insicurezza. La Steaua Bucarest vinse sia il campionato che la Coppa di Romania. L’anno successivo conquistò la Coppa dei Campioni.
Divenne un mito. Un mito che resistette alla caduta del regime di Nicolae Ceaușescu. Perché Emerich Jenei era uomo di regime e un oppositore del regime allo stesso tempo senza essere né uomo di regime né oppositore. Perché non celebrò mai il regime e nemmeno la rivolta, si limitò sempre a dire soltanto che “l’uomo deve essere animato dal buon senso, da un senso di collettività e soprattutto deve essere capace di prendersi le proprie responsabilità”.
Scettico prima e scettico poi: “Ho visto mezzi uomini con mezzo cervello imperare sotto la dittatura e mezzi uomini con mezzo cervello imperare nel paese libero. Il problema della Romania e di buona parte del mondo è che i mezzi uomini con mezzo cervello riescono ad arrivare al potere”.
Scettico sempre: “Dopo la rivoluzione abbiamo guadagnato solo il diritto di urlare. Nient’altro. È inutile che io provi a dire qualcosa, nessuno mi ascolta”. Il problema era il solito: i mezzi uomini con mezzo cervello.
Lui di fare il capopopolo non ha mai avuto voglia. “Perché devo perdere tempo con chi vuole credere a delle cavolate?”.
Preferiva leggere, correre e allenare. Preferiva aprire la testa ai suoi uomini perché “puoi coltivare un campo, due campi, poi basta. Se l’estensione è troppa qualcosa per forza va a male e si rischia di perdere tutto il raccolto”.