Un miliziano guarda un servizio sulla fucilazione di Nicolae Ceausescu, Bucarest, 26 dicembre 1989 (Ansa) 

uffa!

L'omicidio di Culianu, lo storico che condannò Ceausescu e i suoi successori

Giampiero Mughini

Non è un caso che il più irrisolto dei "gialli" connessi alla morte di un intellettuale e scrittore moderno – mille volte più che non l’assassinio di Pier Paolo Pasolini – sia quello di uno studioso e scrittore rumeno. Per anni il vero sovrano delle vite e delle anime rumene fu la Securitate, l’onnipresente polizia politica

Non so se la Romania sia seconda a qualche altro paese europeo nell’aver patito sulla propria carne viva le atrocità commesse dall’uno e dall’altro dei due fanatismi mortali che hanno marchiato il Novecento, il fascismo e il comunismo reale. Nei suoi anni Trenta la fascistizzante Guardia di Ferro capitanata da Corneliu Zelea Codreanu toccò vertici illimitati in fatto di agguati ai suoi avversari politici o di pogrom antisemiti in cui gli ebrei vennero trucidati a migliaia. Nel secondo Dopoguerra, dopo l’entrata delle truppe sovietiche in Romania e fino alla destituzione il 22 dicembre 1989 di Nicolae Ceausescu, il vero sovrano delle vite e delle anime rumene fu la Securitate, l’onnipresente polizia politica di cui si avvaleva l’abietto regime comunista. Non è un caso che il più irrisolto dei “gialli” connessi alla morte di un intellettuale e scrittore moderno – mille volte più che non l’assassinio di Pier Paolo Pasolini – sia quello di uno studioso e scrittore rumeno, il quarantunenne professore Ioan Petru Culianu. 

   

Ne sto scrivendo sulla scia del libro cui lo studioso rumeno Ted Anton ha dedicato cinque anni della sua vita, Eros, magia e l’omicidio del professor Culianu a dirne il titolo italiano (Edizioni Settimo Sigillo, 2007) dopo l’edizione americana del 1996. Era una giornata calda a Chicago quando nella tarda mattinata del 21 maggio 1991 il corpo di Culianu venne trovato cadavere in una cabina del bagno del campus universitario di Chicago, uno dei più grandi e attrezzati al mondo. Nella cui facoltà di Teologia Culianu insegnava, avendo ereditato la cattedra del suo celebre connazionale, Mircea Eliade, morto il 22 aprile 1986. Qualcuno che si era issato in piedi sul water della cabina adiacente aveva sparato a Culianu, che nel sedersi sul water si era già abbassati i pantaloni. Un unico colpo alla nuca con una Beretta calibro 25, una pistola di piccolo calibro che aveva il difetto di incepparsi e dunque del tutto inadatta a un killer professionista ma che aveva il vantaggio di starci comoda nella borsetta di una donna, ed era probabilmente una donna che l’aveva introdotta nel campus, salvo poi passarla all’esperto tiratore. Chiunque avesse ideato la messa a morte del professore era un professionista con i fiocchi in quello che stava facendo. Gli sconcertati investigatori dell’Fbi fecero arrivare in aereo un’agente che parlava rumeno, Gabriella Burger. Né allora né dopo è mai venuta fuori qualcosa che avesse davvero un rilievo nell’accertare la verità dei fatti. Di sicuro c’è solo che Culianu è morto assassinato, e che sulla faccenda non c’è alcuna ombra di donne, soldi, droghe.

    

C’era che Culianu, nato nel 1950 a Iasi da un’agiata e influente famiglia borghese che il regime comunista aveva spodestato di tutto, era riuscito a fuggire via dalla Romania comunista il 4 luglio 1972, forte di una borsa di studio che gli era stata assegnata dall’Università di Perugia. Il marchio e le psicosi del rifugiato politico se le portò appresso per un bel po’. Quando da Perugia si trasferì a Milano, uno dei suoi amici milanesi che lo vedeva voltarsi per strada ogni due per tre come a controllare che nessuno lo stesse seguendo, gli si rivolse così: “Giovannino, non sei mica così importante che Bucarest viene qui a ucciderti!”. Non è detto che l’amico di Culianu avesse completamente ragione. Negli anni Ottanta Ceausescu aveva rafforzato il controllo dei tanti rumeni che vivevano esuli all’estero. Un pezzo grosso della Securitate, il generale Ion Mihai Pacepa (nato nel 1928, morto di Covid nel 2021), se la batté a sua volta dalla Romania nel 1978 per poi pubblicare in America un succulento libro dal titolo Red Horizons, in cui erano documentate le infinite bravate all’estero della Securitate. Tanto per dirne una, un’amica di Culianu, la commentatrice di Radio Free Europe Monica Lovinescu, venne aggredita e picchiata selvaggiamente sulla soglia del suo appartamento parigino da un manipolo di palestinesi assoldati ad hoc dalla Securitate.

   

Intanto, nel settembre 1974, Culianu ha finalmente incontrato il suo mito vivente, il professore Mircea Eliade. Culianu ne sta battendo le orme scientifiche in quella storia delle religioni in cui il rumeno Eliade è divenuto lo specialista il più acclamato al mondo. Culianu fa suoi i mostruosi tempi di lavoro di Eliade, uno che finiva di studiare o scrivere alle 3-4 del mattino per poi mettere la sveglia ogni giorno un minuto prima. Va a insegnare in Olanda, a Groninga. Nel marzo 1986 viene accolto come visiting professor alla Divinity School di Chicago, la facoltà di Teologia dove il settantanovenne Eliade è al crepuscolo del suo insegnamento. Pochi giorni dopo, Eliade viene colpito da un ictus cerebrale. Il 22 aprile muore, non senza aver lasciato a Culianu il compito di esecutore letterario dell’infinita sequela delle sue pubblicazioni accademiche. Il 5 gennaio 1988 il preside della Divinity School telefona a Culianu offrendogli un incarico di professore associato da far valere a partire dalla primavera o dall’autunno dello stesso anno. Una riuscita professionale che non induce l’esule rumeno ad ammutolire innanzi alla tragedia in atto del suo paese, tutt’altro. E tanto più che l’orrore del regime di Ceausescu arriva fin dentro la sua famiglia, sotto forma della devastante persecuzione cui sono sottoposti sua sorella e il marito. Quando Ceausescu viene buttato giù e poi ammazzato come un cane, Culianu lo scrive per ogni dove che il nuovo regime è pieno di spavaldi ex comunisti che l’hanno fatta franca. Alla moglie confida di essere sicuro che le sue telefonate sono ascoltate e registrate da qualcuno. Gli arrivano minacce nello stile consueto alla Guardia di Ferro, il che era un espediente proprio alla Securitate. La Romania è l’unico paese fra quelli ex comunisti che non ha mai consegnato la documentazione relativa alla sua polizia segreta.

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