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Il foglio sportivo
Stefano Pioli cerca un futuro nel passato
Il ritorno a Milano è quasi un’ultima spiaggia per l'allenatore della Fiorentina: arriva a San Siro con tre punti raccolti in sei partite. E anche se le colpe non sono unicamente sue, in situazioni del genere, a pagare, è quasi sempre chi si siede in panchina
A pochi passi dal traguardo più importante della sua carriera, il primo maggio di tre anni fa, Stefano Pioli si trovò davanti la Fiorentina. Erano i giorni del “Pioli is on fire”, fulcro di tre settimane in cui il destino sembrava mettergli contro una dopo l’altra squadre che avevano fatto parte del suo passato: la vittoria con la Lazio agguantata con le unghie a partita praticamente finita, quella con l’Hellas Verona all’orizzonte, in mezzo lo scontro con i viola. Al momento del gol da tre punti di Rafa Leão, Pioli si era girato verso la tribuna con i pugni stretti e le braccia al cielo, le maniche della polo arrotolate lungo le braccia, la sensazione di essere finalmente arrivato a poter gustare il frutto di una gavetta pressoché interminabile. Pioli che era pronto a dire sì alla Sampdoria prima dell’esonero di Giampaolo, Pioli che aveva preso tempo nella speranza di trovare di meglio, Pioli che aveva ringraziato virtualmente Luciano Spalletti per aver tirato troppo la corda con l’Inter, finendo così per dire di no alla chiamata del Milan, Pioli che doveva essere esonerato per far arrivare Ralf Rangnick. Pioli che però si era arrampicato fino a vincere uno scudetto, cementato da quella zampata di Leão a una manciata di minuti dal novantesimo.
Adesso c’è un altro Milan-Fiorentina da affrontare, sempre in quello stadio nel quale era stato prima malsopportato e poi idolatrato, quindi salutato con il giusto rispetto al termine di un ciclo forse portato leggermente oltre la sua naturale scadenza. Ci arriva in condizioni ben diverse, con gli avvoltoi che si aggirano sopra la panchina viola, con dubbi che il suo nome si porta dietro forse dal momento in cui aveva accettato l’avventura araba: come torna, quando decide di tornare, un allenatore che ha scelto di andare a lanciarsi in un contesto come quello della Saudi Pro League, in cui la lotta settimanale per i tre punti non sembra il sale della vita?
Nel corso dell’estate, Pioli ha provato ad alzare i toni, a mettere la Fiorentina nel discorso non della lotta per un’Europa semplice, ma quella della Champions League. Un salto in avanti se vogliamo fisiologico per una squadra che da tre anni galleggia nel gruppone che sgomita tra un posto in Europa League o in Conference. Lo ha fatto, per uno scherzo del destino, proprio in risposta a una dichiarazione del suo prossimo rivale, Massimiliano Allegri, che non aveva inserito i viola nell’elenco delle papabili per un piazzamento Champions. Quel “l’ho scritto sulla lavagna…” è però diventato in fretta virale per i motivi opposti.
A San Siro, stavolta, Pioli arriva con tre punti raccolti in sei partite, e pure con un pizzico di fatica: gli sbandamenti già alla prima giornata a Cagliari e il rischio di naufragare nel derby toscano contro il Pisa sono lì, sotto gli occhi di tutti. L’opinione diffusa è che la panchina di Pioli non sia davvero in discussione, ma il calendario dice Milan-Bologna-Inter in serie, altri tre pezzi del suo passato: in una piazza che ha perdonato pochissimo ai suoi predecessori, pur in presenza di tutt’altri risultati, viene difficile pensare che la pazienza possa durare ancora a lungo. E anche se le colpe non sono unicamente sue, in situazioni del genere, a pagare, è quasi sempre chi si siede in panchina.