I giocatori della Nazionale U20 del Marocco festeggiano il gol che gli ha permesso di raggiungere la semifinale dei Mondiali U20 (foto Ap, via LaPresse)

I Mondiali Under 20 sono una riedizione di quelli in Qatar del 2022

Enrico Veronese

Argentina, Francia e Marocco sono in semifinale anche nella Coppa del mondo di categoria. Manca solo la Croazia, sostituita dalla Colombia. Le scuole calcistiche delle altre formazioni giunte al top rivelano doti di continuità e “leggibilità” forse mai sfoggiate prima a questi livelli

Diceva Gary Lineker che a calcio ventidue persone rincorrono una palla per novanta minuti, e alla fine vince la Germania. Al di là della frustrazione tipicamente inglese, mutatis mutandis il concetto può essere applicato a grandi line alle competizioni mondiali per squadre nazionali nel periodo 2022-2025: la rassegna iridata in Qatar aveva infatti visto arrivare alle semifinali Francia, Marocco, Argentina e Croazia, mentre l’attuale campionato Under 20 – le fasi salienti sono in corso si svolgimento in Cile – presenta tra le magnifiche quattro… Francia, Marocco e Argentina, a cui si aggiunge la Colombia. Tre selezioni immutate, quindi, al passaggio generazionale che indica avere già ricambi all’altezza: vuol dire che il termometro del talento si è fermato a Doha, e indica quali punti cardinali Parigi, Buenos Aires e Rabat? Sì e no.

 

Chiaramente un torneo sviluppato nell’arco di un mese inquadra valori momentanei, graduatorie date dalla partita singola, incroci di calendario spiacevoli come un ottavo di finale tra due favorite. Ma il dato balza comunque all’occhio, incontrovertibile: e non è così comune che accada. Detto che la Croazia dei grandi e la Colombia dei ragazzi sono in qualche modo sovrapponibili per lignaggio tutto sommato recente – gli anni Novanta – e per dipendere dalle prodezze dei singoli (gli immensi Luka Modrić e Ivan Perišić da un lato, l’ascendente Neiser Villarreal che poteva essere viola dall’altro), le scuole calcistiche delle altre formazioni giunte al top rivelano doti di continuità e “leggibilità” forse mai sfoggiate prima a questi livelli.

 

Se la Francia solidamente multietnica e l’Argentina che miscela criollos e italodiscendenti sono luoghi comuni del calcio che si autoavverano rinnovandosi, facendo anzi notizia quando per qualche anno non accade (ah, le generazioni: ne sappiamo qualcosa in Italia), non può non stupire la maturità raggiunta dal calcio marocchino negli ultimi tempi: il lavoro di ricerca curato dallo staff del commissario tecnico dei “big”, Walid Regragui, in tutti i campionati d’Europa si riverbera nei prospetti delle giovanili, dove è oggettivamente facile scovare validi atleti tra le seconde e le terze generazioni di migranti, altrimenti indotti a sgomitare per una convocazione nel mare magno di Olanda, Belgio, Francia, Germania e ora anche Spagna.

 

Modelli differenti, non solo nella geopolitica del calcio ma anche quanto ai diritti di cittadinanza sportiva: fatto sta che dopo Achraf Hakimi, Youssef en-Nesyri, Yassine Bounou i nuovi alfieri del Maghreb sono già all’altezza della situazione, pronti a far vendere le loro maglie rosse e verdi personalizzate agli orgogliosi adolescenti del Vecchio Continente. Uno su tutti, Saad el Haddad, ventenne trequartista della Primavera del Venezia, che aveva assaggiato la prima squadra tra la gestione di Paolo Vanoli e quella di Eusebio di Francesco: baricentro basso, molto agile, svaria in tutta la trequarti offensiva (con preferenza per le ali) portando fantasia e verticalizzazioni. Forse poco dotato fisicamente per la Serie B italiana, ma non per la ribalta intercontinentale.

 

Prima della gloria, per i Leoni dell’Atlante, c’è ancora una volta da domare l’ostacolo Francia: mercoledì allo stadio di Valparaíso, ore 22 italiane, la riedizione dello scontro di tre anni fa –sempre in autunno, un po’ più freddo – non può che avere per favorita la tradizione transalpina, come al solito equilibrata tra le componenti blanc, black et beur, capace a ogni partita di illuminare un nome differente. Dai goal di Saïmon Bouabré a quelli di Lucas Michel, una costante decisiva per gli uomini di Bernard Diomède (campione del mondo nel 1998) sono i cross dalla sinistra di Anthony Bermont, ispiratore del successo ai quarti contro la Norvegia e in cerca di un posto fisso nell’attacco del Lens. O, forse più comodamente, altrove: dove poter saltare l’uomo e creare la famosa superiorità numerica, come in questi giorni sudamericani.

 

A proposito di latinidad, Argentina-Colombia è un classico che carsicamente affiora tra la Copa America e le qualificazioni per i mondiali degli adulti: celebre nella storia lo 0-5 che Faustino Asprilla rifilò alla sempre melodrammatica Albiceleste, ma tutto lascia intendere che nella notte tra giovedì e venerdì (all’una, ora italiana) conteranno più le solidità difensive. I Cafeteros non hanno niente da perdere, e proprio per questo diventano più temibili per la pur favorita Selección di Diego Placente, che espone le qualità del benfiquista Gianluca Prestianni, sempre sul punto di volare, e di Mateo Silvetti, centravanti che all’Inter Miami è stato abituato a giocare assieme a Lionel Messi -rosarino ed ex Newell’s come lui- e quindi a finire nell’orbita dell’altra Inter, quella di Milano.

 

Villarreal, el Haddad, Bermont e Silvetti, tetrarchi di un contesto che da sempre contribuisce non poco a far esplodere i futuri fuoriclasse. Avvenne con la Jugoslavia del 1987, vincitrice proprio in Cile grazie alla nidiata interrotta dalla guerra; così per la doppietta portoghese nelle due edizioni successive, in rampa di lancio un certo Rui Costa. Motivi extra per fare attenzione ai prossimi 180 minuti più eventuali supplementari, antipasto di una finale che potrebbe tanto rimanere nel seminato della logica, quanto invece offrire una o più sorprese lungo la mappa di Peters, a cavallo dell’Equatore. Mentre al banchetto americano XXL della prossima estate si affacciano inedite la Giordania, l’Uzbekistan e la fresca qualificata Capo Verde (sperano addirittura le isole Faroe), per il prossimo fine settimana di calcio niente sarà più importante che iscrivere il nome della propria nazione sopra la coppa dei giovani: che sia per l’ennesima volta, o un esordio assoluto.

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