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Il Foglio sportivo
“Per andare avanti, bisogna andare indietro”, parola di Marco Ballotta
Le glorie del Parma rilanciano lo spirito degli anni d’oro per tracciare una nuova rotta. Valorizzare le radici diventa il punto di partenza per costruire il domani del club
Per guardare lontano serve indicare una direzione e “per andare avanti bisogna andare indietro”. Non è un girotondo di parole, quelle che Marco Ballotta sceglie per tracciare la strada: “Tornare alle origini non è mai sbagliato”. Non si stava meglio quando si stava peggio, quanto la certezza che l’identità nasce dà una cultura, che a sua volta poggia su una storia. Quella di Parma, la riassume il sindaco Michele Guerra: “Ci chiedono di Giuseppe Verdi, del Parmigiano e del Parma Calcio: questa è la nostra eredità”. Il contesto è il Teatro Regio, scrigno ottocentesco della tradizione operistica italiana, dalla Zaira di Vincenzo Bellini in poi. “Il Parma Calcio ha portato in giro per il mondo il nome della città, il suo patrimonio e la sua tradizione. Ed è giusto essere qui in questo luogo simbolo per dire che la storia non deve mai essere un peso, ma un trampolino per programmare il futuro e scegliere chi vogliamo essere domani”. Manifesto programmatico migliore non ci può essere, per presentare la terza maglia ‘25-‘26 dei ducali, quella che ripercorre le gesta di 30 anni prima e di quel Parma che divenne un po’ la squadra di tutti, negli anni di Nevio Scala. Una vittoria in Coppa Italia nel ‘92, la Coppa delle Coppe del ‘93 e la finale dell’anno successivo, la Supercoppa europea e la Coppa Uefa, con il secondo posto dietro alla Juventus nella Serie A proprio nel ‘95. “Tornare a quegli anni non è solo un’operazione nostalgia, ma cercare di capire cosa aveva quella squadra”, spiega Marco Ballotta, una fisionomia che oggi come allora suggerisce più anni dei 61 che gli certifica l’anagrafe.
Colpa di quella chioma caduta troppo in fretta, in tempi in cui le soluzioni tricologiche alla Rooney non erano ancora possibili o praticate. Forse per questo, i suoi record sono ancora oggi più immediatamente riconoscibili: fu il giocatore più anziano a disputare una partita di Champions League, a 43 anni e 253 giorni. Nessuno come lui a disputare una partita in Serie A, quando i 44 li aveva superati da 38 giorni, al termine di una carriera che tra i pali gli ha regalato uno scudetto, tre Coppa Italia e una Supercoppa italiana, oltre che due Coppe delle Coppe e due Supercoppe europee. “Anche ai tempi di Scala c’erano screzi, ma era un gruppo di persone serie: il risultato lo ottenevi per quel motivo”, spiega oggi Ballotta. Con lui, per celebrare la nascita del progetto Legends del Parma, con progetti di impegno sociale sul territorio ci sono proprio il mister e Apolloni, Dino Baggio e Cannavaro, poi ancora Osio, Ze Maria, Fuser, Pizzi, Giandebiaggi, Di Chiara e Benarrivo. Perché c’è bisogno di riconoscibilità e appartenenza, nel calcio. E la maglia di quel Parma è diventato un simbolo, di cui oggi c’è bisogno per sognare di crescere ancora: “Il Parma di adesso fatica a pensare a quel livello, oggi si punta tanto sui giovani e puoi immaginare di migliorare anno dopo anno, perché la città si merita di tornare a quei livelli”. Dopo la forte stretta di mano, Ballotta avvicina la destra e la sinistra a mo’ di auspicio, lui che infilando i guantoni ha difeso anche i pali di Lazio, Reggiana, Brescia e Modena.
“Oggi il mondo è cambiato, è cambiato l’approccio, ma come ieri i ragazzi hanno bisogno di identificarsi nei giocatori”. Invece si cambia in fretta maglia e storia. E proprio per questo, dalla vittoriosa partita interna con il Torino, il Parma ha rimesso in campo quella casacca lì, con tutti i significati che si porta addosso. “Rispetto a quei giorni, anche il mio ruolo di portiere è cambiato: si gioca di più con i piedi, nel 2025 mi sarei trovato a mio agio. Con Taffarel sono stato tra i pionieri nel giocare palla al piede, ma si sta esagerando nella ripartenza dal basso”, assicura. Lui che passò anche dall’Inter a inizio millennio, in quel nerazzurro che da Parma ha attinto per la nuova gestione tecnica. E se Ballotta era soprannominato “nonno” con i suoi 44 anni da giocatore, Chivu alla stessa età per molti è giovane per guidare i nerazzurri. “Il fatto è che oggi le società tentano di tutelarsi scegliendo il nome, prima delle idee. Così se l’allenatore sbaglia, è come se scaricasse la colpa sul mister. Ma non è così che si deve ragionare, serve puntare sulle idee. Chivu è passato velocemente da Parma e probabilmente era già nell’orbita dell’Inter, che gli ha fatto fare esperienza: può anche essere che uno non sia subito all’altezza oggi, ma lo sarà domani. Nel calcio serve tempo”.