
Lorenzo Pellegrini esulta dopo il gol nel derby (foto LaPresse)
Olive s4 e4
La libertà ritrovata da Lorenzo Pellegrini
Poteva, doveva, andarsene da Roma dopo vent'anni di maglie giallorosse vestite e onorate. Invece è rimasto. Doveva essere un oggetto estraneo nella squadra di Gian Piero Gasperini, e invece il centrocampista romano si è trovato alla perfezione negli schemi del nuovo allenatore. E ha deciso il derby, finalmente libero da ciò che lo aveva bloccato
Il problema di Lorenzo Pellegrini è sempre stato soprattutto uno: non essere né Francesco Totti né Daniele De Rossi. E non esserlo né per talento né per carisma. A questo problema se ne sono aggiunti altri due: essere nato a Roma e cresciuto nella Roma e, poi, aver messo al braccio la fascia di capitano che è stata di Francesco Totti e poi, ma per assai meno tempo, di Daniele De Rossi.
I tifosi non gli hanno mai perdonato tutto questo. O meglio, avrebbero voluto che Lorenzo Pellegrini fosse Francesco Totti e Daniele De Rossi, un giocatore capace di sudare in campo romanismo da tutta la pelle e diventare guida assoluta per la squadra. Perché nella Roma calcistica giallorossa, il modello non è mai stato quello che l’evoluzione storica ha portato in Italia, ossia la democrazia, ma è ancora l’Impero e quel misto di dittatura carismatica e guida semidivina tipica di una certa fase della Roma caput mundi antica.
Lorenzo Pellegrini semplicemente non era tutto questo, non era fatto per tutto questo. Perché Lorenzo Pellegrini è un calciatore di assoluto talento, non si giocano altrimenti 230 partite in Serie A e si segnano 37 gol e non si veste la maglia della Nazionale 36 volte mettendo a segno 6 reti, ma non il prototipo del romanismo arrembante e vociante.
Non è un capopopolo, il centrocampista della Roma, ma un uomo schivo, tranquillo, uno che, fosse per lui, si accollerebbe volentieri il gregariato anziché il capitanato. Chi tiene per i colori giallorossi però voleva altro, voleva qualcuno nel quale immedesimarsi, qualcuno che risolvesse problemi.
E Lorenzo Pellegrini non è tipo a cui viene voglia di immedesimarsi. Troppo sulle sue, senza nemmeno quello spirito un po’ guascone che permette di fregarsene di ciò che accade intorno a te.
Sarà per questo, anche per questo, che a un certo punto della scorsa stagione, e poi per tutta l’estate, la Roma ha pensato davvero che fosse il momento giusto per salutare Lorenzo Pellegrini, per chiudere vent’anni di maglie giallorosse indossate ininterrottamente.
Qualche contatto c’è stato. Pure qualche trattativa. Alla fine però Lorenzo Pellegrini è rimasto a Roma, nella Roma. E senza più fascia da capitano al braccio. Sembrava dovesse essere un anno da separato in casa, una lunga malinconica stagione tra panchina e tribuna. Anche perché, dicevano i più, che Lorenzo Pellegrini non era giocatore buono per il gioco di Gian Piero Gasperini.
Quale sia il giocatore buono per Gian Piero Gasperini è però materia complicata, visto che nell’ultimo decennio l’allenatore che fu atalantino ha in pratica fatto giocare qualunque tipo di giocatore, in qualunque ruolo e sempre alla maniera nella quale Gian Piero Gasperini voleva giocasse.
Lo ha iniziato a fare anche con Lorenzo Pellegrini. E nella partita che a Roma vale quasi una stagione: il derby. Il centrocampista è sceso in campo dal primo minuto contro la Lazio e ha fatto qualcosa che non gli capitava di fare da tempo: giocare libero da un peso che gli stingeva il braccio e gli rendeva legnose le gambe. Ha giocato e basta, senza i fantasmi di Francesco Totti e Daniele De Rossi a pesargli sulla schiena. Libero e contento di toccare il pallone, passarlo a chi era posizionato meglio di lui. E calciarlo. Calciarlo in porta. Gol. Vittoria. Tre punti. E chissà che non sia un nuovo inizio.
Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. Qui potete leggere tutti gli altri ritratti.

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