
ipocrisia geo-sportiva
La Uefa passa soldi alle squadre russe ma non ucraine. Da noi però chiedono la cacciata di Israele dalle partite
Mentre si invoca l’esclusione di Israele, Mosca riceve fondi di “solidarietà” e mantiene incarichi in Uefa. A cinque club ucraini colpiti dalla guerra, invece, nessun sostegno perché troppo vicini al fronte
La palla è rotonda anche in agosto, ma il pallone gonfiato della geopolitica calcistica è invece orribilmente bitorzoluto in ogni stagione. Così i campioni nostrani del palleggio doppiopesista lanciano campagne per far saltare la partita di qualificazione mondiale Italia-Israele di ottobre, al grido “la partita che non dovrebbe essere giocata”, anzi Israele dovrebbe essere cacciato da tutte le competizioni sportive universali. Nessun abile dribblomane delle buone intenzioni si è però indignato per il fatto che l’Iran le sue partite di qualificazione le ha giocate e sarà presente ai Mondiali 2026, e nessuno ha mai chiesto l’esclusione della Cina, salutami il Tibet. Non ha fatto problema agli oracoli dei diritti umano-ginnici che alle Olimpiadi di Parigi avesse partecipato la squadra afghana del regime talebano: squalificarono soltanto un’atleta dell’altra rappresentanza, quella dei Rifugiati afghani, perché aveva “fatto politica”, la sventurata.
In questo penoso scenario dell’ipocrisia geo-sportiva, però, né nelle alte sfere del calcio europeo né nell’iperuranio dei politici che palleggiano di sport e diritti è mai venuto in mente di controllare che cosa la Uefa stia facendo con la Russia, ufficialmente esclusa dai tornei dopo l’invasione dell’Ucraina ma sempre coccolata, e non solo nello sport. Fortuna che c’è il Guardian, che ieri ha pubblicato un’inchiesta esclusiva su uno scandalo grave: secondo il giornale inglese alcuni club russi hanno ricevuto 10,8 milioni di euro in fondi di “solidarietà” della Uefa dopo l’invasione dell’Ucraina, quando è stato loro vietato di partecipare ai tornei. Questi pagamenti sono generalmente erogati ai club che non riescono a ottenere risultati sufficientemente buoni per accedere alle competizioni europee. Ma evidentemente bombardare lo Shakhtar Donetsk è considerato dalla Uefa un buon risultato sportivo. Fosse tutto qui, ma c’è di peggio. L’organizzazione guidata dal presidente Aleksander Ceferin, avvocato sloveno in sospetto di “debiti di riconoscenza” verso la Russia fin dai tempi della sua elezione al vertice del calcio europeo, nello stesso periodo ha negato gli stessi fondi a cinque squadre ucraine: Chornomorets e Real Pharma di Odessa, Metalurg di Zaporizhzhia, Phoenix Mariupol e Metalist 1925 di Kharkiv. La motivazione strabiliante, diciamo così, è che quelle squadre sarebbero collocate in una posizione geografica definita “zona di guerra”. Ti invadono? Niente soldi. I club ucraini hanno scritto a Ceferin, spiegando che “la zona di operazioni militari, o meglio la zona di aggressione militare della Russia, non è una regione specifica del nostro paese, ma l’intera Ucraina”. La Uefa, muta.
Non è del resto la prima assurdità. Sempre il Guardian, che evidentemente ama abbaiare ai confini del calcio russo, mesi fa aveva rilevato che, nonostante le squadre russe siano sospese, così non è per la Federazione calcistica russa, che continua ad avere rappresentanti in Uefa. Tra cui un pezzo grosso come Alexandr Dyukov, ex presidente dello Zenit San Pietroburgo, la squadra di Gazprom, ancora nel comitato esecutivo. Recente è anche la notizia che la Uefa sta provando a riammettere le nazionali russe Under 17, con la motivazione che sarebbe ingiusto punire i giovani russi per le azioni del loro governo. Per i calciatori e gli sportivi israeliani, però, questa preoccupazione non conta.