Il presidente Giuseppe Pasini e la sindaca di Brescia Laura Castelletti con la nuova maglia 

L'Union che salva il Brescia. “Così riporteremo l'identità di una volta”. Parlano Diana e Pasini

Francesco Gottardi

La società gardesana Feralpisalò si trasferirà nel capoluogo. Artefice della rinascita: Giuseppe Pasini, con mister Aimo Diana in panchina. Un vivaio da ricostruire, una tifoseria da ricompattare e l'ambizione di tornare subito in B

Quaranta giorni di limbo, in cui il passato non era più e il presente ancora non era. Poi il calcio a Brescia ha ritrovato una casa, “una società solida alle spalle e un imprenditore serio al timone”. Mica poco. Tutti elementi che negli anni erano progressivamente venuti meno, fino al triste epilogo della stagione appena conclusa – salvezza sul campo in Serie B, estromissione dai campionati professionistici tra debiti ed emolumenti non pagati. “Ma soprattutto, questo nuovo club sarà composto da persone che daranno l’anima per ritrasmettere la brescianità d’un tempo. Credo che nel marasma generale sia avvenuto un vero miracolo sportivo per la città”. E se a dirlo è Aimo Diana, bresciano doc e storico centrocampista del grande Brescia di Mazzone, allora c’è da fidarsi. “Ora tocca a noi: come squadra dovremo farci conoscere e apprezzare dalla nostra piazza, trasmettendo la credibilità di questo progetto. Dopo tante difficoltà c’era bisogno di rinnovato entusiasmo”.

   
Oggi Diana ha 47 anni e fino a ieri era l’allenatore della Feralpisalò
. Buon terzo posto nel girone A di Serie C e riconferma assicurata per il 2025/26. Ma con diversi colori. “Proseguire a Brescia il lavoro iniziato negli ultimi mesi è il percorso per me più naturale: cercheremo di alzare ancora l’asticella, in continuità fra i due club e i due programmi sportivi”. Piccola doverosa parentesi: in tutto il caos che ha travolto per l’ennesima volta la cadetteria, ridisegnando classifiche, playout e verdetti a campionato concluso, l’unica squadra che alla fine è sparita davvero dal calcio è quella che c’entrava meno di tutte. Sana, virtuosa e in ascesa. Eppure piccola e geograficamente condannata – tra Salò e Lonato del Garda –, mentre il prestigioso nome del Brescia si è rivelato too big to fail. “È vero”, spiega Diana al Foglio sportivo. “Sono colori che da un giorno all’altro non esistono più e il rammarico della comunità locale c’era. Però sono convinto che anche i tifosi della Feralpi hanno l’intelligenza di capire che il presidente ha voglia di confrontarsi con un calcio diverso, dove nel lungo termine c’è più prospettiva per infrastrutture e bacino territoriale. In pochi credevano che potesse addentrarsi in questo tipo di scelta”, la rifondazione-fusione di nome Union Brescia, appunto. “Invece l’ha fatta con grande coraggio, attenzione e capacità di sintesi”.

  
E veniamo appunto all’artefice della rinascita: Giuseppe Pasini, proprietario del Gruppo Feralpi – tra i principali produttori siderurgici europei, che a sua volta diede il nome al club calcistico fondato nel 2009 – e da decenni al centro della vita economica lombarda. “Si è chiusa una porta e si è aperto un portone”, sorride oggi, dopo aver compiuto il grande passo insieme a una cordata di imprenditori bresciani. “Dopo quel tragico 6 giugno, si riparte con questa nuova avventura. Non posso che ringraziare tutti i tifosi che hanno seguito la Feralpisalò: far rivivere il calcio da una parte comporta farlo tramontare da un’altra. Però senza questi 15 anni, noi questa sfida forse non l’avremmo mai presa: invece abbiamo accumulato esperienza, siamo cresciuti come struttura e organizzazione. Così l’Union Brescia non ripartirà da zero. E vedo che l’avvicinamento tra le due tifoserie si sta già realizzando”. Dai leoni del Garda alla leonessa. “Attorno a me ho trovato tanta partecipazione e voglia di rimetterci in gioco: Brescia ha reagito ed è un luogo con potenzialità incredibili”.

  
I prossimi step? “Presto recupereremo lo storico marchio societario. Bisogna anche ripartire dal settore giovanile che negli ultimi anni ha investito poco sul territorio. Siamo circondati da società blasonate: Atalanta, Verona, Cremonese”. Tutto club di Seria A, adesso. “E tutti club che ci hanno reso terra di conquista. Da oggi cambieremo rotta per far rivivere ai nostri ragazzi la voglia di giocare a Brescia. È uno degli aspetti prioritari: il nostro vivaio dovrà tornare a essere motivo d’orgoglio, le fondamenta dei risultati della prima squadra”. L’altro capitolo clou. “Abbiamo iniziato un progetto tecnico triennale, con l’obiettivo di portare l’Union Brescia nella Serie B che le compete. Per ora saremo la piazza più importante di C e dovremo trasformare la pressione in fattore positivo, attraendo pubblico e giocatori. Partendo col piede giusto già con quelli che abbiamo”.

  
E su questo, piena fiducia a mister Diana. “Bastano le vicende quotidiane per far capire ai miei ragazzi che quest’anno si gioca in qualcosa di più grande”, di nuovo l’allenatore. “Nelle ultime due amichevoli abbiamo avuto 1500 persone al campo: numeri a cui non eravamo abituati. La gente qui è curiosa, ha passione e ci dà la carica. Ma se vogliamo fare questo lavoro, ci prendiamo tutte le responsabilità: puntiamo subito a un campionato di vertice. E nervi saldi, perché l’umore lo fanno i risultati”. Il resto lo faranno le persone. Come Diana, il suo vice Filippini – l’Emanuele dei famosi gemelli del calcio –, il club manager Edoardo Piovani: lo stesso che vent’anni fa cercò di fermare Carletto Mazzone durante quell’iconica corsa sotto la curva dell’Atalanta. “Il nostro Dna è chiaro e profondo: siamo cresciuti nel settore giovanile ai tempi del presidente Corioni, ci faremo da garanti anche dell’Union Brescia. Come ci chiede il nostro popolo”. Come riuscirci? “Provando a essere noi stessi. A partire da quei piccoli gesti di brescianità che paradossalmente avevamo alla Feralpi: tenere aperti gli allenamenti, coinvolgere i tifosi. Chiacchiere, battute in dialetto. Una filosofia che cercheremo di conservare dopo che purtroppo ormai, a Brescia, s’era smarrita”.

   
Il piano del presidente coincide col profilo dell’allenatore: dal vivaio di oggi a quello di ieri. “Io, i gemelli, Guana, Bonera: quanti bresciani c’erano in quel Brescia”. Fioccano i ricordi. “L’episodio più divertente? L’arrivo di Baggio in spogliatoio: finché non abbiamo visto entrare quel codino, io e gli altri non ci potevamo credere. Ci siamo ammutoliti, in silenzio assoluto: noi, giullari della squadra, adoranti verso un personaggio che anche a Brescia si è dimostrato un campione”. L’emozione più grande? “La finale di Intertoto contro il Psg: pareggiare al Parco dei Principi è stato fantastico. E che peccato al ritorno”, castigo dei gol fuori casa, correva l’agosto 2001, “ma per un club come il nostro è stato il momento più alto. Se invece penso a un grande gesto tecnico, il lancio di Pirlo a Baggio contro la Juve. Ero in campo, stupidamente chiedevo palla: per fortuna Andrea ha scelto Roby”. E gol da antologia. “Potrei andare avanti a parlarne per ore. Dei miei compagni, di Mazzone. Era un’epoca in cui anche le piccole sfornavano talento dalle giovanili”. Così oggi quei racconti diventano patrimonio comune. “Quando il mister ci dava un consiglio, lo custodivamo come un tesoro. Appena apriva bocca era un dio. E ha portato Baggio a Brescia: la sua memoria è eterna. Da Hubner a Guardiola, non c’è giorno che non si parli anche di loro ai nostri ragazzi. Sono giovani, curiosi, non vedono l’ora di sentire aneddoti di vita vissuta. E questo è il primo cemento dell’identità”. Il vecchio Brescia che si tramanda, da mito a realtà.