
Foto Ap, via LaPresse
Saudi Pro League si privatizza
Il campionato saudita è nato su base ‘socialista’ dove i club erano di proprietà dello Stato o di suoi ‘bracci’ operativi, esprimendo la forte volontà di primeggiare nel calcio. Ora qualcosa inizia a cambiare
Privatizzazione delle squadre, supervisione finanziaria interna e confronto continuo sul campo con le squadre europee. Questi sono solamente tre degli elementi che la Saudi Pro League vuole mettere a regime per continuare a crescere, aumentando la propria influenza, come movimento e come paese, nel calcio mondiale. È notizia di questi giorni, infatti, che uno dei club sauditi sta per essere venduto a proprietari stranieri (molto probabilmente private equity o fondo), anche se non si conoscono ancora nomi e dettagli dell’operazione, ma una cosa è certa: il dado è tratto, in una nazione dove il mercato sportivo vale 8,5 miliardi di dollari e continua a crescere.
Inizialmente la Saudi Pro League era di proprietà del ministero dello Sport, con alcuni club che ricevevano anche il sostegno di ricchi benefattori, poi nel 2023 la situazione è iniziata a cambiare, con il Pif, fondo sovrano dell’Arabia Saudita, che ha acquisito il 75 per cento delle quote di Al Nassr, Al Hilal, Al Ahli e Al Ittihad. Inoltre, la Diriyah Gate Development Authority ora possiede l’Al Diriyah, squadra di Seconda divisione, e la Commissione Reale per l’Al-Ula controlla l’omonimo club, che milita nella Terza divisione saudita.
La privatizzazione, secondo i dirigenti sportivi del paese del Golfo, dovrebbe aumentare la competitività, l’attrattiva e la prospettiva della Saudi Pro League, con l’obiettivo che da qui a pochi anni tutte e 18 le squadre siano in mano a privati, locali o stranieri. L’Al Okhdood, l’Al Orobah e l’Al Kholood della Spl, così come l’Al Zulfi, l’Al Nahda e l’Al Ansar delle serie inferiori, dovrebbero passare di mano presto, anche se l’operazione più importante resta quella del primo club saudita che sarà a breve acquistato da un proprietario straniero.
Il tema è semplice, il campionato saudita è nato su base ‘socialista’ dove i club erano di proprietà dello Stato o di suoi ‘bracci’ operativi, esprimendo la forte volontà di primeggiare nel calcio. Questo, viste le disponibilità economiche, ha portato, per esempio, Al Nassr, Al Hilal, Al Ahli e Al Ittihad a spendere complessivamente 1,3 miliardi di dollari per acquistare calciatori europei o sudamericani capaci di attrarre pubblico e fare crescere l’intero movimento, con l’intento poi di vendere un giorno le squadre con ricavi maggiori rispetto agli investimenti fatti.
Il modello futuro, però, deve essere quello di un movimento autonomo dal punto di vista economico, capace di crescere sviluppando governance, infrastrutture e accademie, di pari passo con la competitività internazionale. A questo proposito la Spl ha ufficialmente assunto la supervisione finanziaria dei suoi club dal ministero dello Sport: un gruppo decisionale all’interno della struttura del campionato, composto da rappresentanti del ministero, della Federcalcio, della Spl e da membri indipendenti, progettato per migliorare la governance finanziaria, snellire i processi normativi e rafforzare la disciplina istituzionale. In quest’ottica, i club sono incentivati a sviluppare le proprie strutture interne e se le squadre riescono a soddisfare più requisiti in termini di criteri commerciali, infrastrutturali e comunitari, si sbloccano budget più consistenti.
Lo step più duro, però, riguarda la possibilità di affrontare squadre europee, visto che il prossimo Mondiale per Club ci sarà nel 2029 – a meno che non si decida di farlo ogni due anni – e che l’Uefa è stata fredda nella richiesta di invitare squadre della Saudi Pro League in Champions League. Per questo si sta pensando a una Superlega del Golfo con club di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar. In attesa del Mondiale del 2034.