
John Elkann e Giovanni Soldini (foto ANSA)
Il Foglio sportivo
La Ferrari prova a battere il vento
Varato il progetto Hypersail con il navigatore Giovanni Soldini. Tutti a lavoro per la “navicella spaziale” per superare i confini e allargare gli orizzonti, nel solco della tradizione. Elkann: “Uniti facciamo cose meravigliose”
Più che schemi e disegni, basta una frase per capire che Hypersail è qualcosa di più che una barca rivoluzionaria. È un “manifesto galleggiante” di innovazione, una visione che non può tradire il concetto base del Cavallino: essere i migliori, ovunque. “La Coppa America non mi interessa: là ci sono regole stringenti e limitative. La barca Ferrari è libera: possiamo spingerci dove vogliamo, l’unico confine è l’infinito” dice un John Elkann, in felpa Ferrari, che dimostra dieci anni in meno di quando si veste da manager. Senza retorica, quella di Ferrari Hypersail è la più grande sfida italiana all’oceano di sempre e non poteva che esserci Giovanni Soldini. A 59 anni, il navigatore milanese si è messo per la prima volta al simulatore – come i piloti di F1 – per iniziare a prendere confidenza con il “gioiello” che arriverà. Team principal, ma anche skipper, giusto così: Soldini è l’anello ideale di congiunzione tra la vela oceanica dei pionieri (l’avventuroso Ambrogio Fogar, la coraggiosa Ida Castiglioni, il gentlemen Giorgio Falck) e quella della generazione che le sue brillanti gesta hanno ispirato, a partire dai mini-transatisti come Ambrogio Beccaria, erede legittimato e pronto a farsi il giro del mondo in solitario. “Questo è un progetto che nasce da un foglio bianco – sottolinea Giovanni – e che riguarda il futuro. Stiamo provando a immaginarci qualcosa che non è mai stato creato, e che cambierà la vela per tutti”.
“Abbiamo unito la passione con la competenza, lavorando tutti insieme senza individualismi, ma come collettivo – aggiunge il presidente – Per questa Ferrari nulla è impossibile. Stiamo portando la Ferrari dalla strada al mare e al cielo. Qualcosa di straordinario e di eccitante. Quando stiamo assieme e lavoriamo come un collettivo riusciamo a fare delle cose fantastiche”. In effetti, il team velico del navigatore milanese, quello progettuale di Guillaume Verdier (considerato il maestro delle barche con i foil) e la Ferrari sono al lavoro per la “navicella spaziale” (parola di Soldini): un monoscafo lungo 30 metri e largo 20, con un albero alto 40 metri. È dotato di due foil a T – sul modello degli AC75 dell’America’s Cup – con tanto di flap, una chiglia basculante dotata anch’essa di foil (novità tecnica clamorosa) e profonda 9,5 metri, degli elevator (altro foil a T rovesciata) sui timoni: il tutto per potere volare sopra la superficie dell’oceano anche in condizioni impegnative. Perché la vocazione di Hypersail sarà quella, non le tranquille acque di un golfo o lungo la costa. E qui iniziano i problemi, ma anche le opportunità di un nuovo pensiero tecnico dove Ferrari ha molto da dire. “Hypersail è una sfida che ci porta a superare i nostri confini e ad allargare i nostri orizzonti. Allo stesso tempo si vuole inserire nel solco della tradizione Ferrari, traendo ispirazione dalla nostra hypercar, tre volte vittoriosa alla 24 Ore di Le Mans. Progettare una barca per l’altura è la massima espressione dell’endurance” dice Elkann. La sfida nella sfida, sotto la livrea Ferrari (con riferimenti al giallo Modena, colore storico del Cavallino e oggi presente sulle hypercar attuali), è il travaso di competenze e know how dalle auto (con la F80, spesso citata dagli ingegneri) alla vela che stanno portando a soluzioni del tutto originali. Per la cronaca sono già stati depositati già nove brevetti, frutto della sinergia, e altri sei attendono. L’aspetto più interessante riguarda la dinamica dell’imbarcazione. Come sulle vetture i sistemi di controllo interverranno per migliorare l’assetto della barca: ci sarà un algoritmo di controllo per Hypersail a coordinare tutti i sistemi che aiuteranno il driver a ricercare sempre il migliore assetto possibile. Per esempio, tutte le appendici – foil e chiglia – si muoveranno più lentamente rispetto ai movimenti che potranno fare i flap, che gestiranno l’immancabile “su e giù” della barca sulle onde come fossero delle sospensioni.
Anche qui, un paragone stradale: se gli AC75 corrono unicamente “in circuito”, Hypersail farà del fuoristrada, spesso estremo. Altro argomento delicato, su cui la competenza Ferrari in tema di ibrido è fondamentale: Hypersail avrà bisogno di tanta energia per potere garantire alte prestazioni per lungo tempo. E su questo servirà trovare il difficile compromesso, onde evitare di avere una barca troppo pesante con un complesso di batterie che incidano eccessivamente sul dislocamento. Avere un motore termico significherebbe portarsi in barca un peso enorme di carburante, mentre con l’alimentazione elettrica si può avere anche una barca più leggera. La chiave tecnica sarà quindi su come ricaricare le batterie (non troppe), con dei sistemi di recupero che possano garantire un equilibrio tra quanta energia si brucia e quanta se ne può produrre a bordo ricaricandole. Da qui pannelli elettrici e turbine eoliche mentre il resto lo farà l’energia ‘umana’ dei marinai, da 8 a 12, a seconda delle esigenze, ancora da definire. Perché se viene dato per sicuro un varo nel 2026 (ma i tempi precisi del progetto non vengono svelati, al pari del cantiere “misterioso” in Toscana e del budget, sicuramente faraonico), gli obiettivi saranno chiari solo dopo una messa a punto che si annuncia non facile, anzi. “Ho già in mente qualcosa, ma solo quando avremo capito bene la barca…”, annuncia sornione Soldini. In realtà, l’obiettivo appare chiaro: puntare a battere ogni record importante di velocità, fare entrare Ferrari Hypersail negli albi d’oro che contano. Quello della traversata atlantica per esempio, mai conquistato da una barca con il tricolore a poppa, ma soprattutto il Trofeo Jules Verne, assegnato all’imbarcazione più rapida nel fare il giro del mondo, in equipaggio no-stop. Il primato, stabilito nel 2017, appartiene al trimarano Idec Sport, con skipper il mito francese Francois Joyon: 40 giorni, 23 ore e 30 minuti. Si può fare, vero Giovanni?

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