Foto LaPresse

la sala dei bottoni interista

Quello dell'Inter è anche lo scudetto di Giuseppe Marotta

Umberto Zapelloni

L’amministratore delegato nerazzurro sta a metà strada tra un architetto e un ingegnere. Progetta, costruisce e abbellisce. Soprattutto vince

Ormai è un dato di fatto. Nel calcio italiano sposta di più Beppe Marotta di Cristiano Ronaldo. L’amministratore delegato nerazzurro sta a metà strada tra un architetto e un ingegnere. Progetta, costruisce e abbellisce. E all’occorrenza si inventa anche delle soluzioni che con il tempo si rivelano vincenti. Prendete solo l’ultima grande scelta: Simone Inzaghi. Alzino la mano gli interisti che fino all’altro ieri non erano convinti dell’allenatore della seconda stella. Ce ne sono ancora, tranquilli. Ma intanto il re di coppa (Italia) adesso festeggia anche uno scudetto. Che poi è il ventesimo, uno di quelli destinati a passare alla storia. E se per l’Inter è il ventesimo, per Beppe è il decimo personale, considerando anche quello bianconero del 2018-19, ottenuto con una squadra che lui prima ha costruito e poi abbandonato perché l’idea Ronaldo non lo aveva entusiasmato troppo (eufemismo). Ha anche raggiunto tre finali di Champions in otto anni. Solo Galliani all’epoca aveva un ritmo simile (e in più le vinceva).

Beppe Marotta è il più grande costruttore di squadre dell’epoca moderna nel calcio italiano. Una vera archistar. “Perseveranza, umiltà e coraggio sono i miei concetti cardine”, ripete. Qualche tempo fa, proprio al Foglio, a Roberto Perrone, aveva spiegato: “Bisogna avere la forza di cambiare senza paura, dovevamo sopravvivere e fare cassa con i migliori. Così è avvenuto e li abbiamo sostituiti con giocatori importanti senza grossi esborsi e senza indebolire la squadra. Poi c'è stata l'intuizione di Simone Inzaghi, perfetto continuatore di Conte. Un profilo italiano, un allenatore concreto che si è adattato subito al nostro ambiente”.

Fare cassa con i migliori e ricostruire. Un metodo vincente che l’Inter ha proseguito anche l’estate scorsa con le cessioni di Onana e Brozovic, dopo il capolavoro inarrivabile della cessione di Lukaku, poi ripreso gratis. Incassare e reinvestire, magari andando a trovare quei parametri zero che possono cambiare volto a una squadra. Anche quello è un lavoro certosino che comincia molto prima della firma del contratto. Prima c’è tutta l’arte del corteggiamento. E Marotta da archistar si trasforma in grande seduttore. È anche Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana, un titolo che ha gradito quasi quanto uno scudetto perché anche un sogno gli è rimasto: fare il ministro dello Sport. ”Se mi hanno mai chiesto di entrare in politica? Sì me lo hanno chiesto – ha detto al Corriere della Sera – E siccome nella vita bisogna sempre avere un sogno nel cassetto, il mio è quello di entrare in politica da tecnico, senza tessera di partito, per offrire il mio apporto in termini di competenza ed esperienza”.

Ha cominciato da ragazzino a Varese, casa sua, dove è nato nel 1957. Raccoglieva palloni, faceva qualche piccolo lavoretto. Intanto si guardava attorno. Svezzato da Mario Colantuoni sul finire dell’era Borghi che a Varese non aveva fatto grande solo il calcio. Nel 1982, quando già dirigente, sfiorò la promozione in Serie A con Eugenio Fascetti in panchina, uno che non guardava in faccia a nessuno ed era arrivato ad attaccare pure Bearzot senza salite poi sul carro del vecio, diventato campione del  mondo nel 1982. Fascetti è stato la prefazione di un libro dove poi è comparso un certo Antonio Conte, un altro bel tipo da gestire. Avere a che fare con Simone Inzaghi è una passeggiata di salute.

Da Varese, dove aveva studiato nello stesso liceo classico di Roberto Maroni e Attilio Fontana, ha cominciato a girare il mondo: Monza, Como, Ravenna, Venezia, Atalanta, Sampdoria, Juventus, Inter, dove avrebbe potuto arrivare molto prima se Ernesto Pellegrini non gli avesse preferito Dal Cin. Meglio così. È arrivato al momento giusto, uomo ideale per gestire le paturnie di Conte prima e il fantasma di Zhang dopo. D’altra parte uno che sopravvive Zamparini (“Ogni domenica sera esonerava l'allenatore. Va bene, gli dicevo, ma facciamo dopo il giorno di riposo. Martedì non ci pensava più”) può vivere bene dovunque. Lo chiamavano Kissinger fin dai tempi della Samp. Poi sono arrivati i periodi dell’oro con Juve e Inter. E Kissinger forse non basta più. Marotta nel calcio italiano conta ancora di più.

Di più su questi argomenti: