Il Foglio sportivo

Il Liverpool di Klopp batte i corner con l'intelligenza artificiale

Fulvio Paglialunga

I Reds hanno iniziato a utilizzare un sistema basato sulla IA in grado di masticare dati, posizioni, movimenti e restituire schemi per i calci d'angolo. Il calcio però non è scienza esatta

Anni fa Walter Zenga allenava il Catania e dagli spalti qualcosa non quadrava: cos’erano quegli schemi sui calci da fermo apparentemente buffi eppure efficaci? Poi, il mistero ebbe un nome: Gianni Vio, un ex impiegato di banca che si era messo a studiare e si era specializzato su corner e punizioni, che portava in dote oltre quattromila schemi e pazienza se dagli spalti l’impressione era di una messinscena, si tramutavano in gol. Gianni Vio, da curiosa novità, è immediatamente diventato una star, era anche nello staff della Nazionale campione d’Europa, ha seguito Conte al Tottenham e ha reso i calci da fermo una cosa seria.
 

Sembrava già avveniristico, prima che arrivasse il Liverpool, con la sua reputazione internazionale, prima che arrivasse Jurgen Klopp, con la sua attrazione per la modernità. Prima, cioè, che gli schemi per i calci d’angolo diventassero materia per l’intelligenza artificiale, che il pallone facesse un nuovo salto nel futuro. C’è la mano di Google, che ha creato un sistema basato sulla IA in grado di masticare dati, posizioni, movimenti e restituire schemi, prevedere passaggi, tiri, marcature da evitare o marcature da non perdere. Si chiama TacticalAI, è un algoritmo che ha analizzato oltre settemila calci d’angolo battuti in Premier League negli ultimi anni, continua a istruirsi esattamente come fa qualsiasi intelligenza artificiale – addestrabile quasi per definizione – e ora riesce a dire quale schema è meglio utilizzare in base al posizionamento degli avversari o quale posizione tenere se sono gli altri a battere il corner, sulla base di un’analisi quantitativa delle azioni che poi è stata sottoposta a una valutazione qualitativa, mettendo lo staff del Liverpool di fronte alle tattiche per capire se quelle della IA erano distinguibili da quelle umane. Non solo non sono state trovate differenze, ma i tecnici dei Reds hanno ritenuto gli schemi generati da TacticalAI come migliori di quelli esistenti nel novanta per cento dei casi. Così Klopp e la sua banda si sono messi al lavoro sfruttando le potenzialità del nuovo strumento, che sa dirti, sulla base del posizionamento dei difensori, dove è meglio passarla, dove è più facile tramutare un calcio d’angolo in gol, oppure, sulla base del posizionamento degli attaccanti avversari, come è meglio sistemarsi per intercettare il pallone.
 

I calci da fermo, del resto, sono un’ossessione di Klopp, sempre a caccia di nuovi metodi per migliorare la resa dei giocatori: da anni il tecnico si affida agli studi di due neuroscienziati tedeschi che hanno testato un metodo che, facendo indossare ai calciatori un casco dotato di sensori cerebrali, registra l’attività del cervello durante l’allenamento e quindi suggerisce un piano per portare il calciatore in the zone, ovvero nello stato di massima concentrazione, con corpo e mente allineati, prima di battere una punizione, un rigore, un calcio d’angolo. I due neuroscienzati della Neuro11 si sono accorti che, per ognuno dei calciatori, a volte la massima concentrazione si raggiunge con un movimento, un gesto, qualcosa che una volta individuata viene poi “salvata” per avere un’esecuzione perfetta (motivo per cui quando il Liverpool due anni fa vinse sia la FA Cup che la Carabao Cup ai rigori, Klopp dedicò il trofeo a chi aveva portato le neuroscienze nel pallone). E nemmeno l’intelligenza artificiale è un episodio casuale nella concezione del calcio del tecnico che un tempo fu soprannominato Normal One (in contrapposizione a Mou) ma che normale non è: un altro algoritmo prodotto dalla Zone7 analizza, sempre attraverso l’IA, il rischio di lesioni per i calciatori e suggerisce azioni preventive, in qualche modo suggerisce le rotazioni e così riduce gli infortuni. E non bastasse, negli anni Klopp ha chiamato Sebastian Steudtner, un surfista tedesco tra i migliori al mondo, per dare consigli ai calciatori per migliorare la loro autostima e imparare attraverso la respirazione a gestire l’ansia e migliorare il comportamento sotto pressione, e ha ingaggiato Thomas Gronnemark, campione di atletica e componente della squadra di bob danese, per allenare le rimesse laterali.
 

Chi sta tremando mentre legge perché teme che il calcio possa diventare qualcosa di meccanico, prevedibile, senza tempo e spazio per le emozioni e il talento si metta comodo: è vero che l’intelligenza artificiale può continuamente migliorare e quindi prendere spazi nello sport che Galeano definiva “l’arte dell’imprevisto”, ma anche i cervelloni hanno preso atto che il calcio non è una scienza esatta. Lo studio dei calci d’angolo da parte del ramo di Google che si occupa di intelligenza artificiale è una portentosa innovazione, ma è anche circoscritta a un momento della partita in cui tutto è fermo e le variabili sono minori (e anche gli esiti: un calcio d’angolo finisce con un gol, con l’azione che prosegue o con la difesa che si impossessa della palla). Quando il pallone è in movimento, invece, troppe cose possono incidere per mettere a punto un modello predittivo: non si possono immaginare le condizioni del terreno, il vento, il caldo, la condizione personale (fisica e mentale) di un giocatore, il proprio talento, i movimenti singoli e di squadra dell’avversario, il rimbalzo del pallone. Il calcio può migliorare, se quando sente bussare il futuro alla porta lo fa accomodare, ma non si trasformerà perché fatto di uomini, sentimenti, variabili. Le idee lo migliorano, la nostalgia no e in quel caso si resta indietro. Raccontano, ad esempio, che nell’ultima assemblea della Lega di serie A un dirigente di una società tra le più quotate abbia proposto una giornata vintage, con tutte le partite alle 15, maglie dall’1 all’11 senza nomi e scarpini neri. “Bella, ma impraticabile”, così gli hanno risposto. Impraticabile perché dagli anni delle partite alle 15, maglie dall’1 all’11 senza nomi e scarpini neri è cambiato il mondo, e anche il calcio. Ci sono le tv che fanno vedere tutte le partite, altrimenti non sarebbe nato lo spezzatino, c’è il futuro che non aspetta: lo cavalchi, o vivi nella preistoria. In questo caso, però, non puoi competere con la Premier League e tantomeno con il Liverpool, il posto in cui la modernità arriva prima degli altri. E non avrai Klopp tra i tuoi alleati, l’allenatore che guarda così avanti che se tu dici “oggi”, lui sa che stai parlando del suo “ieri”.

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