Un'immagine della Parigi-Roubaix del 2023 (foto Getty Images)

Il Foglio sportivo

La Parigi-Roubaix è immaginazione

Giovanni Battistuzzi

Avesse trionfato la sensatezza la corsa francese non esisterebbe più perché non esisterebbero più gli stradelli di pavé. Qui vale il principio del galleggiamento su un mare di pietre

Si dà troppa importanza alla sensatezza, quasi fosse l’unica caratteristica da tenere in considerazione nel compiere un’azione. Ci sono campi nei quali è senz’altro meglio averla che non averla, altri nei quali è un orpello trascurabile, perché comporterebbe più malefici che benefici, implicherebbe la scomparsa di ciò che ci provoca piacere, un piacere intensissimo, in favore della realizzazione della razionalità. 

Ogni anno, un giorno all’anno, abbiamo prova di questo nel nord della Francia, in quel lembo di terra che è Fiandra senza esserlo per sopraggiunti confini territoriali. 

 

Un tratto di pavé della Parigi-Roubaix (foto Getty Images)
     

Avesse trionfato la sensatezza la Parigi-Roubaix non esisterebbe più perché non esisterebbero più gli stradelli ricoperti di pietre, quei settori di pavé che in ordine decrescente setacciano il gruppo, scompagnano i corridori dalle loro ambizioni, unendo con incedere sghembo e frastagliato Compiègne e Roubaix

Non ha nulla a che fare con il razionale la Parigi-Roubaix. Ha molto, tutto?, a che fare con il magico la Parigi-Roubaix, o ancor meglio con l’immaginario, con il visionario. È una corsa piana, un vagare tra pianure che sono più pianura che altrove, perché in Francia la pianura è diversa da quella che conosciamo qui, è un seguirsi e inseguirsi di piccole collinette, dove i metri di dislivello si accumulano nelle gambe senza accorgersene. È diverso nella Fiandra francese. Lì la pianura è più pianura che altrove e proprio perché più pianura ha ricercato le pietre per sembrarlo di meno.      

È un’apparizione la Parigi-Roubaix, è un luogo dove il razionale lascia il posto ad altro, a un luogo dove nulla è ciò che sembra, o forse nulla sembra ciò che è. 

     

Un'immagine della Parigi-Roubaix del 2023 (foto Getty Images)
    

La Parigi-Roubaix è corsa piana che non raggiunge nemmeno i duemila metri di dislivello in duecentosessanta chilometri, eppure è una corsa montana, un tappone. Perché quegli stradelli in pavé sono in realtà salite infinite, dove la bicicletta rimbalza e si scompone e millimetro dopo millimetro di distanza e di dislivello tra le pietre diventano centimetri che diventano metri e a sommarli tutti, un settore dopo l’altro si fanno chilometri. Chilometri che non entrano in nessuna statistica. 

Le statistiche e l’analisi dei dati fanno parte ormai della sensatezza, determinano spesso la razionalità o meno di una scelta. 

La Parigi-Roubaix è la negazione di tutto questo. È una corsa nella quale è l’immaginazione a dominare ogni cosa, è il fantastico, l’abbandono totale a visioni di mostri dai quali fuggire, a nebbie capaci di rapire, a buche nelle quali si può cadere e scomparire per ritrovarsi in un mondo diverso, a volte lisergico, dove nulla ha a che fare davvero con il reale.      

Pure le leggi della fisica non valgono davvero. La gravità non è uguale per tutti e a valere sono le leggi dei fluidi, non certo quelle di Newton. È corsa marina senza esserlo e anche quando non piove da mesi e tutto è asciutto. Si naviga alla Roubaix, vale il principio di galleggiamento su di un mare di pietre. I blocchi di pavé sono onde e quello che serve è assecondarle a vele spiegate. I pirati volano sicuri a millimetri dal suolo, i naviganti invece volano a terra, assaggiano quello che il progresso aveva considerato inutile. Il ciclismo però ha deciso diversamente, ha reso l’inutilità necessità. C’è nulla di meglio dell’insensatezza. A volte. 

       


       

Un anno fa finì così

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