Un'immagine della caduta durante la quinta tappa del Giro dei Paesi Baschi 2024

ciclismo

Quello che ci dice in tema di sicurezza dei ciclisti la caduta al Giro dei Paesi Baschi

Giovanni Battistuzzi

Se nel ciclismo è impossibile raggiungere il pericolo zero, qualcosa si può e si deve fare per diminuire i pericoli per i corridori

Ciò che impressiona di più nella caduta che ha coinvolto il gruppo nei chilometri finali della quarta tappa del Giro dei Paesi Baschi, ieri, non è tanto il numero di corridori coinvolti (e poi ritiratisi dalla corsa), i referti medici, ma la sensazione che poteva andare molto peggio. Molto molto peggio

 

        

Perché lì dove è scivolato per primo Natnael Tesfatsion – anche a causa di un bozzo sull'asfalto dovuto a una radice di un albero –, a lato di quella curva nella discesa che portava i corridori da Olaeta verso Ibarra, c’era un palo, una canalina di scolo dell’acqua in cemento e due massi poco dopo. Incocciare tutto ciò a velocità elevata poteva causare danni ben peggiori di quelli che hanno subito i corridori coinvolti nella caduta.

E non sono stati comunque di poco conto. Steff Cras ha riportato uno pneumotorace, la frattura di diverse costole e di due vertebre dorsali, oltre a diversi ematomi, ferite e abrasioni; Remco Evenepoel si è fratturato la clavicola e la scapola destra; Quinten Hermans è alle prese con molte botte e diverse abrasioni; Sean Quinn ha subito una commozione cerebrale, la frattura dello sterno, abrasioni e ferite; Primoz Roglic ha subito diverse escoriazioni e un paio di ematomi intramuscolari; Natnael Testfation ha riportato numerose contusioni ed abrasioni sulla parte destra del corpo; Jay Vine ha subito la frattura di una vertebra cervicale e di due vertebre toraciche; Jonas Vingegaard si è rotto una clavicola e diverse costole. 

Il ciclismo è uno sport che può essere pericoloso, non si svolge in un luogo protetto, il pericolo zero è irrealizzabile perché i corridori pedalano su strade comuni, quelle che lì abita utilizza ogni giorno. Tutte strade che sempre di più tengono in considerazione quasi esclusivamente le necessità delle automobili, non certo quelle dei ciclisti. 

Questa evidenza però non è un’assoluzione, non vuol dire che non si possa incrementare la sicurezza dei corridori in corsa. 

Si prenda il caso della discesa lungo la quale è successo il patatrac al Giro dei Paesi Baschi. La pericolosità della discesa non era determinata dalla strada, dalla complessità delle curve e nemmeno dalla ripidezza che genera velocità. Era ciò che stava accanto alla carreggiata il problema. E gli avvallamenti del manto stradale dovuti alle radici degli alberi accanto alla squadra. Qualcosa che era stata segnalato mesi fa agli organizzatori da parte di Safe Cycling, un’azienda che fornisce prodotti, servizi e consulenza per aumentare la sicurezza dei corridori. “Jonas Vingegaard ci aveva segnalato i problemi di sicurezza della discesa da Olaeta già sei mesi fa e noi avevamo contattato gli organizzatori del Giro dei Paesi Baschi per discutere le intuizioni e le preoccupazioni di Vingegaard e compagni. Non abbiamo mai ricevuto risposta”, ha detto a Sporza il fondatore e amministratore delegato di Safe Cycling, Markus Laerum

La segnalazione è stata (forse) presa in considerazione dall’organizzazione della corsa basca. La curva pericolosa era stata segnalata ai corridori e una protezione era stata messa. Il problema è che era stata messa nel punto sbagliato, non a fine curva, lì dove c’era il pericolo maggiore (basta osservare le dinamiche di caduta in curva per capire che è in uscita che sorgono i maggiori problemi e pericoli, non certo a centro curva), amplificato a dismisura dalla presenza della canalina di scolo e dai massi. 

Una disattenzione forse, senz’altro un errore. Non il solo. Né al Giro dei Paesi Baschi, né in altre – tante – corse del World Tour, ossia il circuito di corse più importanti e prestigiose dell’Union cycliste internationale. Sono molti i passaggio assai pericolosi che si possono osservare in quasi tutte le corse.

Se il pericolo zero è irraggiungibile, al pericolo zero si può tendere, si può cercare di avvicinarsi il più possibile, ben consci che le cadute saranno sempre all’ordine del giorno e basta una disattenzione per finire a terra. È successo alla Dwars door Vlaanderen, quando in una strada larghissima, un errore di Wout van Aert ha innescato una caduta che ha mandato lui e altri corridori in ospedale. È accaduto mercoledì al Giro dei Paesi Baschi quando sono caduti in tanti per troppa bagarre in una strada larga che non presentava particolari pericoli. 

Quando ci sono tanti uomini in bicicletta che competono per la vittoria e questi sono molto vicini basta una sbavatura, essere imperfetti per finire sull’asfalto. Va così da sempre. Da qualche anno però va peggio. In gruppo infatti ci sono più corridori, questi hanno mezzi più performanti – le biciclette utilizzate dai corridori sono sempre più veloci e aerodinamiche, anche se i miglioramenti di pneumatici e freni hanno reso queste meno instabili –, preparazioni fisiche migliori e la competizione è aumentata perché non c’è in gioco solo il risultato di una corsa, ma pure quella di un triennio, che può determinare la promozione o la retrocessione di una formazione nel World Tour, ossia permettere una squadra di partecipare di diritto alle corse che contano di più. 

Velocità e competizione sono però anche ciò che sta rendendo il ciclismo di questi anni sempre più affascinante. 

Avanzare soluzioni facili sul tema è un modo pericoloso di banalizzare un tema complesso che non riguarda solo il ciclismo, ma che riguarda soprattutto il tema della mobilità e della sicurezza stradale. Perché i pericoli che osserviamo costantemente guardando le corse ciclistiche sono i pericoli che noi tutti dobbiamo affrontare ogni giorno. E la condizione delle nostre strade non può essere più trascurata, come è stato trascurata più o meno ovunque in questi anni. 

C’è però urgenza, al di là del ragionamento generale sulla condizione delle strade, di un incontro tra corridori, squadre, organizzatori e federazione internazionale per discutere dei problemi di sicurezza in corsa e cercare di trovare una soluzione che punti su persone realmente competenti in materia di sicurezza, analisti capaci di prevenire se non tutti i problemi delle strade, quantomeno quelli più evidenti (e che magari, ma questo è un auspicio, possano rapportarsi anche con le autorità locali). In questo modo il ciclismo potrebbe essere un volano per un miglioramento della sicurezza collettiva.