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Crocicchi #30

La Serie A è diventata una lunga attesa per i verdetti finali: nuntereggaepiù

Enrico Veronese

Con l'Inter ormai irraggiungibile e il Milan saldo al secondo posto restano due caselle (forse tre, chissà) da occupare per la Champions League del prossimo anno. L'unica certezza è che il Napoli non ne farà parte

Le cinque squadre in Champions League, la Superleague, Piqué e la Kings League, il mondiale per club, nuntereggaepiù. Sparate su Allegri, sono tutte finali, il duello per l’azzurro tra Retegui e Scamacca, l’importanza di chi non gioca, il sempre sottovalutato Alfred Duncan, abbasso e alé. Stefano Sabelli, Luca Mazzitelli, dribbla Locatelli che segna a Padelli, ma chi me sente: la Serie A si sta involvendo in attesa dei verdetti, di conoscere quante società dovranno tarare i propri bilanci in vista delle trasferte internazionali (sperano in nove) e quali due programmare la risalita (tremano in sette), dei campionati continentali di giugno e luglio, dell’Olympia a Parigi.

Tiene banco la discussione che mette paura alla Juventus, da certa seconda a impossibile sesta e quindi fuori dall’Europa che conta: il rischio c’è? No, chi ha visto la partita dell’Olimpico – stranissima ed esasperatamente tattica, con entrambe le contendenti che hanno cambiato schemi per l’occasione – ha sì osservato giocatori fuori posizione, sostituzioni meramente testuali e mai modificative, il riscatto di Adam Marušić dopo un torneo anonimo grazie a un gol d’altri tempi, ma anche una Juve viva, capace di procurarsi chance per segnare, sempre in partita e già proiettata alla semifinale di Coppa Italia contro la stessa Lazio.

Perciò, nel rimandare il de profundis bianconero, la giornata ha detto principalmente una cosa: fuori dalla porta principale rimarrà invece il Napoli, il quale è stato sommerso in casa dalla diretta rivale Atalanta e dice addio alla passerella maggiore. Solo dodici mesi fa, sotto il Vesuvio, iniziavano già le lunghe celebrazioni preventive del terzo scudetto, protratte fino a oltre l’estate tra striscioni nei vicoli e statue del presepe azzurro: nessuno avrebbe potuto pensare che, con l’addio di Luciano Spalletti, quasi niente del bellissimo castello costruito nella stagione 2022-2023 sarebbe rimasto intatto.

Altri tre allenatori, due ripescati dalla naftalina e l’ultimo con un piede a Bratislava; Victor Osimhen e Piotr Zieliński che annunciano il divorzio con molto anticipo; il mercato sfavillante nei nomi, poco redditizio in campo; partenze sottovalutate – Kim Min-jae, dove sei? – e impressionanti cali di rendimento, alibi relativi quali la Coppa d’Africa e qualche piccola sfortuna assortita completano il quadro di un’agonia iniziata con gli scricchiolii pericolosi di settembre (sconfitta interna contro la Lazio, pareggio affannoso a Genova) e proseguita tra le incertezze d’autunno, ovvero i colpi subiti a domicilio dalle due toscane.

Ma il vero crocicchio del campionato partenopeo, dove tutto ha preso a girare male, sta nel trittico di resa al Real Madrid, all’Inter (umiliante 0-3) e alla stessa Juve, certo non nella sua miglior edizione: tra il 29 novembre e l’8 dicembre il Napoli aveva già compreso che il tricolore cucito sopra le tante maglie differenti, stampate per esigenze di cinematografia, sarebbe presto diventato un ricordo. Era la squadra di Walter Mazzarri, chiamato in fretta e furia per ricostruire le condizioni che avevano portato al trionfo di Spalletti; in almeno due incontri, il centravanti nigeriano era presente. Eppure niente faceva pensare che in campo ci fossero i campioni d’Italia uscenti.

Alla società di Aurelio de Laurentiis non rimaneva che restare aggrappata alla zona Champions, e magari mettere le mani sopra la Coppa Italia: invece, la figuraccia prenatalizia contro il Frosinone (0-4) e i tonfi di Roma e Torino a cavallo dell’anno nuovo hanno inferto ferite non più recuperabili appieno, nonostante l’effimera e sfortunata finale di Supercoppa o qualche successivo pareggio orgoglioso. Salutata l’Europa a Barcelona, senza particolari demeriti, la gragnuola di gol recapitata al Sassuolo pareva l’inizio di una nuova storia, nell’intesa tra Osimhen e l’altro totem Kvicha Kvaratskhelia. La debâcle contro l’Atalanta, invece, riporta tutti alla realtà: bisognerà ricostruire da zero. E, considerato il calendario delle ultime otto giornate, nemmeno l’Europa League o la Conference sono oggi scontate. Napoli ha perso la magia, non tiene genio: ma non può finire così.

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