Mateo Retegui - foto Ansa

Il Foglio sportivo

L'Italia ha trovato Retegui, il centravanti che cercava

Giampiero Timossi

L'attaccante del Genoa, scoperto da Mancini, fa contento Spalletti anche perché racconta di non giocare alla PlayStation

L’Italia ha ritrovato il suo centrattacco. “Mi chiamo Mateo Retegui e si legge Reteghi, tutto qui”. Perché sia subito chiara una cosa: non gli piace nessuno dei soprannomi che gli hanno dato. La gente di Victoria, i tifosi del Tigre, la squadra che lo ha lanciato, lo chiamavano chapita figlio del chapa, ma anche tàbana, dunque dischetto figlio del disco, ma anche moscone. Come si può dargli torto se non li gradisce. Retegui ha 24 anni, è un attaccante, gioca nel Genoa allenato da Alberto Gilardino, è nato in Argentina, ma è italiano per scelta. Opzione gradita al vecchio commissario tecnico Roberto Mancini che era a caccia di talenti, scelta abbracciata anche dal commissario Luciano Spalletti, che è in cerca di conferme per un Europeo da difendere. La narrazione dei numeri dice che è implacabile: 4 centri in 5 gare, nella partita d’esordio, in quella dopo, doppietta al Venezuela giovedì, appena rientrato nel giro. Gli dai una palla in area e fa centro, a prescindere. Gol spettacolari, ispirato dal sole o dalla luna, faccia e occhi al cielo, come con la rovesciata che ha aperto la vittoria del Genoa sull’Udinese, il successo dei 33 punti, segnale di gran salute se a conquistarli in 26 partita è una squadra neopromossa. Poi sono arrivate due sconfitte, con Inter e Monza. L’attaccante della Nazionale è rimasto a secco, ma ha lottato come uno squalo, da costa a costa. È anche per questo Retegui è il compagno che tutti vorrebbero in squadra. Quasi tutti, magari Albert Gudmundsson non la pensa proprio così. A Salerno e poi al Ferraris contro il Monza, il nostro italiano d’Argentina voleva scippare il rigore all’islandese designato. Due uomini, due palloni in mano, un dischetto. Alla fine a metter pace è arrivato Messias, ha il nome giusto per certe cose. Ed è finita con un sorriso e un gol di Albert. Giovedì Retegui ne ha fatti due per l’Italia, Gudmundsson tre per l’Islanda, 1-4 a Israele, semifinale playoff per Euro 2024. “Averne di problemi così”, ha sospirato Gilardino.
 

Con la Juventus il centrattacco è rimasto ancora a secco, terza partita di fila, però altra prova di fisicità e crescente qualità. Giancarlo Marocchi commenta il calcio per Sky Sport,  non mette in saldo i complimenti, ma lo ha detto chiaro: “Guardate che forza ha il centravanti della nostra Nazionale”. Ben detto. Dei sei attaccanti convocati che giocano in Serie A, nessuno è in doppia cifra, in campionato Retegui è andato a segno sei volte. Deve essere anche per questo che ha questa smania di calciare qualche rigore.

 
La prima cosa che ha visto aprendo gli occhi è stata una stanza dell’ospedale pediatrico della città di San Fernando, provincia di Buenos Aires, vista mozzafiato sul Rio de la Plata. Se nasci qui, se sei argentino hai fame di vittorie e lui “ha fame”, che non è quella chimica, piuttosto un modo di vivere, storie comuni per chi deve partire e poi navigare per cercar miglior fortuna. C’è chi partì e furono tanti dall’Italia, come i bisnonni dell’attaccante, quelli materni da Canicattì, quelli paterni da Sestri Levante, Liguria, quattro passi dal porto calcistico dove ora ha attraccato il genoano Retegui. Dice bene il cantastorie Ivano Fossati: “Ahi, quantomar, quantomar per l’Argentina…la distanza è atlantica/ la memoria cattiva e vicina/ e nessun tango mai più ci piacerà”. Al centrattacco piace l’Italia, nessun rimpianto. A Genova Mateo è arrivato con la sorella e con Micaela è rimasto. Vengono spesso a trovarli mamma Maria de La Paz Grandoli buona giocatrice di hockey su prato e papà Carlos Retegui, il Chapa, campione di hockey su prato, commissario tecnico della Nazionale d’Argentina, argento alle Olimpiadi di Londra, oro quattro anni dopo sempre ai Giochi, Rio 2016.
 

Altro sport, il calcio. Altra nazione, l’Italia. E una nuova occasione, l’Europeo, quest’estate. Mateo vuole esserci, qualche acciacco sembrava averlo tenuto fuori dal giro, ma è risalito in fretta sull’ottovolante, 8 i gol già segnati in stagione, l’ultimo in rossoblù quello della rovesciata nella rete dell’Udinese. L’hanno paragonata a un’analoga prodezza del suo allenatore, Gilardino. Era simile, più difficile quella del Gila. Però Retegui ha messo in campo un capolavoro di arte predatoria. Quello che un giaguaro fa con la preda, l’attaccante lo fa con il pallone: colpisce all’improvviso. “Ha grandi doti, grandi potenzialità, margini di miglioramento”, dice Gilardino già maestro nel tirar su gli allievi. L’italiano di La Plata ascolta, un passo indietro, non vuol neppure sentire i paragoni. A chi assomiglia non è facile dirlo, diverso da Diego Milito altro grande argentino del Genoa, molto diverso da Rodrigo Palacio. Mateo è il più grosso di tutti. E ha una rapidità d’esecuzione che difficilmente si è vista prima in una Marcantonio così. Ricorda Bobo Vieri, quando tornò dalla campagna di Spagna, sponda Atletico Madrid. O il primo Batistuta. Rapidità che Retegui ha avuto da madre natura e affinato con lo sport di papà: una chapa corre più veloce di un pallone. Cosa deve migliorare? “Nel proteggere la palla e nel far salire la squadra”, dice chi lo vede lavorare ogni giorno. Qualità che non affinerà alla PlayStation. Anche questa è una bella storia: Luciano Spalletti fa un’intervista, dice parecchie cose, una suona più o meno così: “Nei ritiri delle Nazionale vieterò di giocare alla Play, quella roba lì accesa tutta la notte rimbambisce”. In una vecchia intervista l’attaccante del Genoa avrebbe detto: “Amo giocare alla Play”. Così almeno aveva scritto il giornalista. “Solo che io ho detto non amo giocare alla Play, c’è la registrazione, fatela girare”, ha chiesto l’attaccante ai vivaci uomini della comunicazione genoana. Sembra quasi la trama di una spy story, ci si vede al Checkpoint Charlie, Berlino, il 14 luglio, finale di Euro 2024. Rete-gol non vede l’ora. No, neppure questo è un gran soprannome.

Di più su questi argomenti: