Jasper Philipsen dopo l'arrivo della Milano-Sanremo 2024 (Alessandro Galrofalo - Pool/Getty Images)

ciclismo

Milano-Sanremo 2024. E alla fine arriva Philipsen

Giovanni Battistuzzi

Il belga vince la Classicissima davanti a Michael Matthews. Tadej Pogacar sul Poggio prova il colpo di teatro, ma non gli riesce. Come non è riuscito a Mohoric e Pidcock

Ogni anno, i giorni prima della Milano-Sanremo, sono il momento del battibeccare tra chi vorrebbe una Classicissima diversa (e sì che diversa lo poteva essere sin dalla prima edizione, ma per quattro soldi non è stato così) e degli entusiasti della Sanremo com’è. Ogni anno, il giorno della Milano-Sanremo, arriva il momento nel quale chi vorrebbe una Sanremo diversa e chi l’ama così si ritrovano seduti su un divano, o a bordo strada, e se ne fregano, per una mezzoretta, di giudizi e pregiudizi. Capita di solito all’imbocco della Cipressa. Da lì a Sanremo mancano poco più di ventisette chilometri. E in quei poco più di ventisette chilometri non ci si capisce granché, quasi nulla. E si riesce a cambiare una certezza dopo l’altra sul possibile vincitore, perché ogni allungo sembra quello buono, ogni azione sembra quella giusta per arrivare prima degli altri al traguardo. 

Ha bisogno dei suoi tempi la Milano-Sanremo, è la corsa che più di ogni altra detta le regole del gioco e non c’è verso di cambiarle. Sta a chi corre e a chi la guarda accettarle e a non far troppo i bofonchioni. Perché la lunga attesa è sempre propedeutica a un rapimento totale capace di far dimenticare qualsiasi cosa, anche chi si ha attorno o se qualcosa è sul fuoco e andrebbe mescolato. Questione di chilometri che si accumulano inesorabili nelle gambe e che amplificano ogni sforzo. 

Chilometri nei quali spesso i piani preparati con cura nei giorni precedenti vanno a farsi benedire. E quando va così, cioè spesso, appare di solito un castigamatt che lì non dovrebbe starci, un velocista che chissà come è rimasto appeso ai filibustieri della salita e frega tutti. Uno tipo Jasper Philipsen, che al mondo è il velocista più forte, e che ha rincorso su e giù dal Poggio, ma che ad attraversare la linea d’arrivo della Milano-Sanremo è stato il primo

Quello della UAE Team Emirates oggi era un buon piano, un'ottima idea da inseguire. La squadra emiratina aveva imbastito una tavola imbandita per Tadej Pogacar, aveva preparato un gustoso banchetto, salvo poi trovarsi senza camerieri per servirlo. Sulla Cipressa davanti a tirare dovevano essere in tanti ad alzare la velocità e, di conseguenza, a eliminare uno dopo l’altro i più veloci e quindi meno resistenti alle fatiche della salita. La Sanremo non può vantare nel percorso ascese con pendenze importanti, per questo serve ostinazione e gente totalmente dedita alla causa altrui. Gente che Tadej Pogacar ha a fianco, e parecchio buona, ma che, per una ragione o per l’altra, si è ritrovata con le gambe messe male nel momento nel quale invece avrebbero dovuto girare a meraviglia.

Dispiace. Soprattutto capita.  

Lo sa pure Tadej Pogacar che può capitare. La linea d’arrivo l’ha passata per terzo. Sperava diversamente, ma tant’è. L’ha passato felice come sempre, perché in fondo a lui del risultato frega sempre il giusto, perché ha in sé la convinzione, parecchio suffragata dai fatti, che tanto è questione di tempo, solo questione di tempo, prima che possa salire sul gradino più alto del podio in qualsiasi grande corsa. Anche perché in cima al Poggio lo sloveno aveva attorno solo Mathieu van der Poel e soprattutto la gamba delle migliori occasioni. La distanza però non era granché e in gruppo c'è gente che dà alla discesa più del tu di lui.

Jasper Philipsen è stato il più veloce di tutti a Sanremo. Al solito verrebbe da dire, perché in giro ce ne sono ben pochi che lo possono battere in volata. Di più del solito perché giù dal Poggio s’era trovato lì dove non si era mai trovato, ossia tra i primissimi. Il belga è uomo che si evolve in continuazione, che sta diventando un ultravelocista, capace di fregarsene di qualsiasi avversità, appaia sotto forma di pavé (l’anno scorso fu secondo alla Parigi-Roubaix) o di salita. Quando vede uno striscione di arrivo recupera scorte di energia extra e si mette alle spalle chiunque, anche perché avere un corridore come Mathieu van der Poel a fare il lavoro sporco non è da tutti. 

Anche un corridore come Michael Matthews che vede passare gli anni ma non ingolfarsi le gambe. Non c’è corsa che l’australiano non ha rischiato di vincere, un po’ meno quelle che ha vinto, ma non è un problema in realtà. O almeno non lo è per chi, stagione dopo stagione, lo dà sempre per disperso salvo poi vederlo apparire sempre nel momento giusto, l’unico che serve, ossia nei chilometri finali, quando l’arrivo è vicinissimo.