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Crocicchi #27

Una Serie A scossa dagli allenatori semestrali

Enrico Veronese

L'Inter è irraggiungibile, il Bologna è la squadra che più meriterebbe di qualificarsi in Champions League, ma Roma e Napoli hanno iniziato a rifarsi sotto. Provocazione: e se non fosse una cattiva idea affidare le squadre a due allenatori l’anno?

Vietato nascondersi. A questo punto della stagione, gli obiettivi vanno dichiarati come al tavolo del poker: l’Inter dei quattro gol segnati a partita, dello scudetto praticamente certo - indipendentemente dalla partita casalinga del lunedì contro il Genoa - non può non pensare di riuscire a vincere la Champions League, qualora superasse lo scoglio (non agevole, ma certo non proibitivo) del ritorno a Madrid, sponda Atlético. Lo sanno anche le possibili controparti continentali, specie dopo la finale risicatissima dello scorso anno. Non sarà triplete in ogni caso, dal momento che la Coppa Italia è svanita agli ottavi sotto i colpi felpati di Joshua Zirkzee: proprio il Bologna è l’altra squadra che ormai non può più celarsi dietro un dito.

Anche a Bergamo, partita crocicchio, si è visto chiaro che l’Europa a cui poter puntare è quella massima, con tutte le stelle: troppi ormai sono i fattori dirimenti, da Lewis Ferguson in fiducia che cerca colpi onnipotenti senza pensarci, a Remo Freuler quasi sdoppiato o triplicato in ogni settore del campo. Parlare di questo campionato significa parlare di loro, di come l’intera rosa a disposizione di Thiago Motta ha in sé le risorse per sopperire a momentanee défaillance di qualche suo elemento. Non sfonda Riccardo Orsolini? Alexis Saelemakers non lo fa rimpiangere. Stefan Posch non è quello dello scorso anno? Riccardo Calafiori esplode. Michael Aebischer e Nikola Moro non sono continui? Giovanni Fabbian fa per l’uno e per l’altro. Il prossimo sabato 9 marzo, nuovo scontro tra Bologna e Inter: saranno i Thiago boys a strappare i primi punti all’invincibile armata nel 2024?

Certo, la Roma di Daniele de Rossi macina risultati e punti con una costanza inedita: ma oggi - senza dimenticare naturalmente l’Atalanta, né considerando eventuali bonus da ranking Uefa - sono i rossoblu in pole position per la Champions League del prossimo anno, e con pieno merito sportivo.

A proposito di DDR, e di Francesco Calzona: i loro exploit “riparatori” di situazioni non facile chiamano la provocazione: non sarà forse meglio affidare le squadre a due allenatori l’anno, uno per il girone d’andata e uno per il ritorno, al fine di dare la scossa e conferire imprevedibilità là dove regna temporaneamente la disabitudine? Se il Napoli è oggi la prima squadra per tiri totali (440) verso la porta avversaria, sono anche le ultime due partite a rialzare la media. In specie la vendemmiata infrasettimanale nel recupero di Sassuolo, agevolata non solo dallo stato di forma di Victor Osimhen e Kvicha Kvaratskhelia (due dai quali non si può prescindere mai), ma anche dalle comiche disavventure di Ruan Tressoldi, il calciatore più criticato e “compatito” della Serie A.

In Rete, soprattutto, nelle ultime settimane e mesi è esplosa la memetica relativa al goffo centrale difensivo brasiliano, tra lazzi e smarrimento di fronte alle sue presenze da titolare in uno dei massimi tornei europei: eppure Ruan prometteva molto, ai suoi primi passi in Italia. Ma le sue prestazioni in divenire, mai rassicuranti, lo hanno fatto assurgere a modello esiziale del giocatore volenteroso quanto poco migliorabile: nella narrazione, i precedenti volano dritti ai presunti “bidoni” dei primi anni Ottanta, al terzino da calcetto, all’amico di Clarence Seedorf imposto in rosa, ovvero a quel Marco Pacione che divorò sciaguratamente un certo numero di reti durante un match decisivo tra Juventus e Barcelona. Antieroi che fanno il giro e diventano emblemi simpatici, quasi positivi dell’uno vale uno.

Eppure, almeno contro l’Hellas Verona, Ruan Tressoldi ha avuto la sua (triste) rivincita: lasciato fuori dal subentrante Davide Ballardini - a proposito di allenatori “semestrali” - il difensore del Rio Grande do Sul ha visto soccombere la propria squadra nell’ennesimo scontro diretto, senza portare stavolta alcuna responsabilità in campo. Con Ruan o senza, il destino del Sassuolo appare segnato: soprattutto dal minuto 60, quando Domenico Berardi ha dovuto gettare la spugna per rottura del tendine d’Achille. Un episodio che, viste la qualità e l’insostituibilità dell’apporto dell’ala calabrese, getta ombre sinistre non solo sopra il futuro stagionale dei neroverdi, bensì anche della Nazionale impegnata in un difficile girone iniziale al campionato europeo di Germania. Una frana alpina che blocca due strade e, in un sol colpo, può determinare due destini.

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