Gigi Riva nel 2005 durante la cerimonia per la consegna della cittadinanza onoraria a Cagliari (foto LaPresse)

tra stadio e urne

Tutti i no di Gigi Riva alla politica

Giovanni Battistuzzi

Dal Partito sardo d'azione a Silvio Berlusconi, in molti hanno provato a candidare l'ex attacante . La risposta era sempre la stessa: no, grazie

Per uno come lui, come Gigi Riva, per il quale l’appartenenza a un’idea era tutto, ma un’appartenenza a un’idea di vita e territorio grande come un’isola, la Sardegna, non c’era posto per le divisioni. Soprattutto quelle inutili, a volte meschine, della politica. Non facevano per lui. Per quanto politico, in un modo o nell’altro lo è stato. Suo malgrado.

Gigi Riva era un altrove. Un altrove calcistico e di vita, l’uomo diventato simbolo di un calcio provinciale che proprio nell’orgoglio della provincialità è diventato vincente. Non ha avuto bisogno di andare alla Juventus, all’Inter o al Milan per vincere. Lo scudetto l’ha portato a Cagliari, se l’è regalato regalandolo all’isola. L’ha vinto alla guida, in campo, di una squadra di buoni giocatori, alcuni ottimi – c’erano Enrico Albertosi, Giulio Zignoli, Pierluigi Cera, Nené e, soprattutto, Angelo Domenghini –, condotti, dalla panchina, da un allenatore mite, preciso e capace come Manlio Scopigno.

Per uno come lui, come Gigi Riva, c’era chi era pronto a tanto, forse a tutto. Perché, si leggeva in una lettera del febbraio 1988 inviata dall’ex presidente della regione Sardegna, Salvator Angelo Spano, all’allora segretario della Democrazia cristiana Ciriaco De Mita, “ancora adesso, a vent’anni dallo scudetto, se Gigi Riva chiedesse ai sardi di staccarsi dall’Italia per annettersi alla Francia ci sarebbe moltissima gente disposta a seguirlo”. Salvator Angelo Spano cercava di convincere De Mita di fare di tutto per averlo nelle liste regionali. Non andò bene. Gigi Riva rifiutò con cordialità, allo stesso modo nel quale aveva detto no agli ammiccamenti dei socialisti qualche anno prima.

C’aveva provato Bettino Craxi in persona a convincerlo. S’erano visti a Cagliari, Craxi sapeva delle simpatie socialiste dell’ex capitano dei rossoblù, ma non ci fu verso. Leggenda vuole che all’allora segretario di un Psi che da lì a un anno avrebbe ottenuto l’11,4 per cento alla Camera e al Senato e, soprattutto, l’accesso alla Presidenza del Consiglio il 4 agosto 1983, avesse risposto “non sarò certo io a distruggere quel sentimento d’unità che quel Cagliari riuscì a costruire”.

Non fu comunque Craxi il primo a pensare e contattare Gigi Riva per portarlo in politica. Ci provò il Partito sardo d’Azione nel 1978 in vista delle elezioni regionali dell’anno successivo. Il segretario Michele Columbu e l’assessore di Cagliari Carlo Sanna tentarono di arruolare l’attaccante in nome di un’unione territoriale della Sardegna che solo lui e il loro partito potevano rappresentare. Gigi Riva aveva smesso di giocare da poco più di un anno ed era entrato nella dirigenza della società rossoblù. Disse ai suoi interlocutori di avere a cuore le sorti della Sardegna, ma che il Cagliari poteva risolvere più problemi del consiglio regionale. I due non la presero per nulla bene.

Il colpaccio lo provò anche Silvio Berlusconi per le elezioni regionali del 2004. Il mito di Gigi Riva era ancora vivissimo a Cagliari e in Sardegna, lo è ancora a dire il vero, e su suggerimento del candidato presidente Mauro Pili, tentò di convincerlo ad accettare la candidatura. Il no, raccontano le cronache di allora, fu “secco e spazientito”, soprattutto “definitivo”. Gigi Riva era allora team manager della Nazionale italiana, o meglio, come lui preferiva dire, era “quello a cui i giocatori potevano rivolgersi”. Due anni dopo, nel 2006, fu attorno a lui e a Marcello Lippi che la Nazionale si compattò, dopo gli scandali di Calciopoli, prima di salire in Germania a giocare i Mondiali. Come è finita lo sappiamo tutti.

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