Gigi Riva, il grande attaccante del Cagliari e della Nazionale, è morto il 22 gennaio del 2024 (foto Franco Origlia per Getty Images)

il ricordo

Gigi Riva "mi rubava i fichi". Storia di un'amicizia

Giovanni Battistuzzi

Come Rombo di tuono unì la Sardegna all'Italia. "Era bello stare in silenzio con lui. Era bello batterlo a carte. Non è mai stato un campione, almeno a briscola"

Gigi Riva mi rubava i fichi”. La prima volta che si incontrarono lui, Riccardo Corti, aveva un fucile in mano e il colpo in canna. L’altro, Gigi Riva, scappava in pantaloncini corti assieme a un altro uomo. “Non era la prima volta che, lui o qualcun altro, erano entrati nella proprietà per rubare i fichi. Era l’inizio di settembre e io coi fichi ci facevo le marmellate. Loro si fermavano, scavalcavano il muretto, li prendevano e ripartivano. Li detestavo”. Quando scoprì che erano i calciatori del Cagliari a rubargli i fichi, prese una cesta, la riempì e fece quel chilometro e mezzo di strada bianca per andare all’ippodromo del Poetto, dove la squadra si allenava. “Dissi loro che quella cesta era un regalo ma che se li avessi rivisti entrare per rubare avrei sparato. I miei vent’anni erano molto ruspanti”. 

Riccardo Corti all’epoca non sapeva chi fosse Gigi Riva, un po’ perché era solo un ragazzetto arrivato dal Legnano ma soprattutto perché “il calcio non mi era mai interessato e, a essere sincero, va così ancora. E pure a Cagliari non è che il Cagliari fosse il centro dei pensieri”. Con Gigi Riva però iniziò a trovarsi bene. “D’altra parte avevamo molte cose in comune. Eravamo entrambi lombardi, entrambi laghee anche se io rivierasco del lago di Como e lui del Maggiore. E ci univano i silenzi. La nostra amicizia è stata caratterizzata da buone bevute, grandi fumate, discorsi interessanti e lunghissimi silenzi”.

Soprattutto entrambi la Sardegna la vissero all’inizio come un castigo. “Perché uno adesso quando sente ‘Sardegna’ pensa al sole, l’estate, la bella vita, il mare cristallino, ma all’epoca, nei primi anni Sessanta, la Sardegna era un inferno di noia, un grande deserto d’anime. Era il confino, il posto dimenticato da Dio. O così sembrava a me, che venivo da Como città e che mi appassionavo di musica e rivolte. A Cagliari c’era all’epoca solo un negozio di dischi e le novità arrivavano mesi e mesi dopo”. 

A Cagliari Riccardo Corti non ci sarebbe mai voluto andare. E anche Gigi Riva al Cagliari non ci sarebbe mai voluto andare. “Finii lì un po’ per castigo e un po’ per salvarmi. A Como avevo iniziato con la cocaina all’inizio degli anni Sessanta, avevo sedici anni. Sono sempre stato all’avanguardia in fatto di droghe. Mi spedirono dal nonno materno. A Cagliari nel 1962 quando arrivai c’era giusto un po’ d’erba, ma a me dell’erba non fregava nulla. Mi rimisi a posto velocemente. Il primo anno in pratica non uscii di casa, lavoravo nei campi, stavo con mio nonno. Poi legai un po’ con Gigi. Ogni tanto ci bevevamo una cosa assieme, ci facevamo un giro in centro, ci mangiavamo una cosa al porto e andavamo a pescare. Era una conoscenza però, la vera amicizia arrivò dopo”. 

Cagliari era ancora la prigione dalla quale scappare. Riccardo dopo poco più di un anno ritornò a Como. Sul lago “rimasi un po' tranquillo, pulito, poi mi prese la passione per gli allucinogeni. Mi rispedirono dal nonno”. 

Gigi Riva e il Cagliari nel frattempo avevano raggiunto la Serie A, la città “aveva iniziato ad appassionarsi davvero di pallone. A me non me ne importava ancora nulla. Che a me piacevano le corse in bicicletta, io ero per Fausto Coppi, da piccolo mi portavano a vedere il Lombardia e mi portarono pure al Sestriere quando arrivò il Tour de France, e, dopo la sua morte, per Vittorio Adorni. Quando Adorni vinse il Giro di Sardegna io ero sballato a Como. A ripensarci ora mi viene da ridere”. 

Ritornato a Cagliari qualcosa cambiò. “Mi accorsi che la Sardegna non era un confino, che non era la morte civile, ma era un posto dove stavo bene. Stava diventando, e nemmeno troppo piano, il mio posto nel mondo”. Ed era cambiato anche Gigi Riva. “Anche in lui era mutato qualcosa. Era come ci fossimo innamorati di una donna, la stessa. Una donna fatta di mare, di terra e di anima. Era un mondo lontano la Sardegna allora. Lontana da tutto”. 

Gigi Riva è stato il ponte che ha collegato davvero la Sardegna al continente. “Prima di lui, prima di quel Cagliari, nessuno ci veniva in Sardegna. Agli italiani non è mai fregato nulla di quest’isola. E lo dico anche per esperienza personale. Io stesso prima di partire da Genova avevo il terrore di finire in Sardegna. Poi tutto è cambiato. E quello scudetto fu qualcosa di pazzesco. La città visse mesi e mesi di festa. Prima, quando quei ragazzi lottavano e battevano le grandi. E poi quando vinsero il campionato. Fu un’ubriacatura collettiva. Prima erano, eravamo, perché io già mi sentiva isolano, solo una banda di briganti e pastori, poi lo continuammo a essere per molti, ma sotto una luce diversa. Gigi Riva ebbe il merito di unire un’isola che non si sentiva unita e, allo stesso tempo, di unire la Sardegna all’Italia”. 

Gli anni Settanta arrivarono e mentre “bande di fricchettoni cercavano se stessi in India, noi avevamo trovato la pace in Sardegna. E un amore totale per il posto nel quale stavamo. Eravamo innamorati, eravamo felicissimi. Lui, Gigi, rimase a Cagliari, io me ne andai in Barbagia, la mia India. Facevo il vino e il formaggio, avevo campi e frutta. Manlio Scopigno, l’allenatore del Cagliari, veniva a trovarmi ogni mese e se ne tornava a casa con una damigianetta. Gigi meno, più raramente, ma è sempre venuto. Ci mettevamo sotto il porticato, giocavamo a briscola, ci bevevamo un po’ di bicchieri e ci facevamo delle gran fumate di sigaro. Mi raccontava di quello che gli capitava, io delle mie bestie. Si era affezionato a un’asina, Maddalena. Era un’asina scontrosa, ma andavano d’accordo. In fondo erano simili, non c’era verso di far loro fare quello che non volevano fare”.

Ora che Gigi Riva è morto "mi spiace solo che era da un po' che non ci sentivamo. Non che fosse una novità, capitava che non ci sentissimo anche per più di un anno. D'altra parte avevamo sempre avuto poco da dirci, ma quando si stava assieme era piacevole. Era bello stare in silenzio con lui. Era bello batterlo a carte. Non è mai stato un campione, almeno a briscola".

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