Rene Higuita, il colombiano che ha cambiato il ruolo del portiere (foto Getty Images) 

Il foglio sportivo

In principio fu Higuita. Come sta cambiando il mestiere del portiere

Michele Tossani

Il colombiano giocava con i pedi fuori dalla sua area di rigore, arrivando anche a spingersi oltre la linea di metà campo. Nessuno poteva immaginare che quel modo di interpretare il ruolo sarebbe diventato all’avanguardia negli anni successivi

In principio fu René Higuita. Quando, sul finire degli anni Ottanta, vedemmo comparire sui nostri teleschermi il numero uno dell’Atlético Nacional de Medellín (avversario del Milan nella Coppa Intercontinentale del 1989) e della Nazionale colombiana (protagonista a Italia 90) pensammo al solito portiere istrionico e un po’ matto. Higuita era infatti un portiere che giocava con i pedi fuori dalla sua area di rigore, arrivando anche a spingersi in avanti, ben oltre la linea di metà campo. Nessuno poteva immaginare che quel modo di interpretare il ruolo del portiere sarebbe diventato all’avanguardia negli anni successivi.

Inizialmente ci fu l’avvento dello sweeper-keeper, vale a dire del portiere che, come un libero vecchia maniera (sweeper appunto) dava supporto a linee difensive molto alte, uscendo fuori dai sedici metri di competenza per andare a risolvere situazioni delicate con spazzate da numero 6 (la maglia tradizionalmente associata al libero) di altri tempi. Già Zdenek Zeman lo aveva introdotto in Italia col Foggia nella figura del compianto Francesco Mancini. Il massimo rappresentante di questa categoria di portieri è stato comunque il tedesco Manuel Neuer col Bayern Monaco e con la Nazionale tedesca nel nuovo millennio.
Dato però che il calcio attuale, così come la società tutt’attorno, si va sviluppando alla velocità della luce, ecco che il portiere-libero ha subito una ulteriore evoluzione, assumendo in fase di possesso le funzioni di un difensore centrale aggiunto. 

È, quest’ultima, una tendenza apparsa per la prima volta in Germania (chi lo ha detto che i tedeschi non sono ingegnosi?) nel 2018 quando Christian Titz, allenatore dell’Amburgo, cominciò a utilizzare il portiere Julian Pollersbeck da difensore, chiamandolo a contribuire alla fase di costruzione degli anseatici ben al di là dell’area di rigore e in linea con gli altri centrali della squadra: era così nato il portiere-centrale.

 

Che il portiere partecipi alla fase di costruzione della sua squadra non è una novità. Molte formazioni già lo facevano e continuano a farlo con successo. Generalmente però questo avviene all’interno dei propri sedici metri, con la squadra in possesso che sfrutta il numero uno come uomo in più per eludere il pressing avversario o per attirarlo, al fine poi di creare campo da attaccare in verticale alle spalle della prima linea difensiva avversaria.

Un esempio in tal senso ci viene dal modo in cui Simone Inzaghi impiega lo svizzero Yann Sommer all’Inter. Troviamo anche situazioni nelle quali questa prima gestione della palla avviene fuori dell’area (lo stesso Sommer o Andrea Consigli con il Sassuolo per citare un altro portiere abituato a giocare con i piedi) ma mai ad altezze eccessive (cioè molto fuori dei sedici metri) come invece si è visto con Titz e Pollersbeck ad Amburgo.

All’estero la tendenza a utilizzare il portiere da centrale di difesa è più marcata e si confronta con avversari che solitamente pressano di più di quanto si faccia in Italia. Un caso è quello del brasiliano Alisson con il Liverpool.

Nell’undici di Jürgen Klopp infatti l’ex guardiano dei pali della Roma si aggiunge alla linea difensiva in possesso oltre la propria area. Quest’azione consente ai Reds di guadagnare un uomo in più in seconda linea, con il movimento di Trent Alexander-Arnold che diventa di fatto un mediano aggiunto.
E proprio questo è il punto centrale che spiega l’utilizzo del portiere in questo modo: guadagnare un uomo in più in fase di possesso. In pratica si tratta di replicare quanto avviene nel football americano quando una difesa deve preoccuparsi di un quarterback che può anche correre con la palla. Contro difese calcistiche sempre più orientate sull’uomo, questo uso del portiere permette di avere un uomo libero in fase di possesso, perché si finisce per attaccare 11 contro 10. 

Come si può reagire a questa mossa? Un’idea sarebbe quella di… alzare il proprio portiere anche in fase difensiva, per pareggiare la situazione e giocare 11 contro 11 a tutto campo. Finché la palla è fra i piedi del numero uno che attacca, a settanta metri di distanza dalla nostra rete, il pericolo di avere la porta sguarnita si minimizza. Chiaramente il portiere della squadra che difende dovrà essere in grado di leggere la situazione, pronto a riguadagnare una posizione più ‘classica’ fra i pali, mano a mano che gli avversari avanzano.

Follia? Anche quella di Higuita sembrava esserlo… chissà dunque che non si arrivi presto a vedere una soluzione del genere. 

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