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il foglio sportivo

La Serie A può diventare un campionato per giovani

Marco Gaetani

Lo stop al decreto crescita dovrebbe aguzzare l’ingegno. La strada di Juve e Atalanta con le Under 23

Nell’estate del 1984, con alle porte un blocco triennale all’arrivo di calciatori stranieri dall’estero imposto dalla Figc, le squadre italiane si diedero alla pazza gioia: sapevano di avere un solo slot temporale a disposizione e che, fino al 1987, soltanto le neopromosse avrebbero potuto portare nel nostro campionato giocatori provenienti da altri campionati. La decisione, fortemente voluta dall’allora presidente federale Federico Sordillo, aveva come finalità “l’intenzione di concorrere al risanamento delle gestioni societarie e al ripianamento degli indebitamenti: la situazione impone alle società interessate una pausa di riflessione”. Generò, invece, un’estate di bagordi: da Maradona al Napoli a Rummenigge all’Inter, da Hateley e Wilkins al Milan a Junior al Torino, dal duo Elkjaer-Briegel al Verona a Socrates alla Fiorentina, e poi Souness alla Sampdoria, e Strömberg all’Atalanta. 

 

Lo stop al decreto Crescita, piombato sul collo delle società italiane negli ultimi giorni del 2023, ci ha forse privato di un mercato di gennaio in cui si sarebbe potuto innescare un meccanismo analogo e perverso, l’ultima chance di sfruttare un’agevolazione che in questi anni si è rivelata preziosa per il nostro calcio, il treno preso al volo quando le porte si stanno per chiudere, l’ascensore bloccato con una mano per arginare i sensori. Al calcio italiano, a questo punto, non resta che aguzzare l’ingegno: per competere con i colossi internazionali, la strada da percorrere è quella della gioventù.

 

Una strada tracciata da Juventus e Atalanta, le uniche due società che, in questi anni, hanno raccolto la sfida delle squadre Under 23. I bianconeri hanno già iniziato a godere dei frutti del passaggio formativo dei giovani in una realtà professionistica che fa da cuscinetto tra Primavera e prima squadra, momento indispensabile per non scottarsi e provare a non perdersi in quel momento in cui ci si ritrova gettati in un gruppo di uomini senza però esserlo ancora fino in fondo. La Juventus Next Gen è rimasta a lungo un esperimento isolato: nata nel 2018 e iscritta al campionato di Serie C, dal 2022 è guidata da Massimo Brambilla, l’uomo che dal 2015 aveva fatto le fortune, non a caso, del vivaio dell’Atalanta. I frutti più eclatanti sono sotto gli occhi di tutti: da quel Soulé che sta imponendo il suo calcio dybalesco a Frosinone all’ultima stellina Yildiz, ragazzo dalla tecnica sublime e dalla sfacciataggine calcistica tipica dei grandi, non a caso già posto da Allegri al pari dei vari Vlahovic, Chiesa e Milik. In Coppa Italia, nonostante il tentativo del tecnico di fare da pompiere, si è vista ancora la sua classe cristallina. Ma Serie A e Serie B vedono spuntare ovunque elementi passati per la Juve Under 23: Beruatto a Pisa, De Winter e Dragusin al Genoa, Kastanos a Salerno, Mota a Monza, Rafia a Lecce, Ranocchia a Empoli, Zanimacchia a Cremona. Non tutti formati dal vivaio juventino, eppure testati e sviluppati in periodi di formazione più o meno lunghi. Il tutto senza contare chi è a disposizione di Allegri: Miretti, Nicolussi Caviglia, Iling Junior, in attesa del rientro dalla squalifica di Fagioli, e con il difensore 2005 Huijsen andato alla Roma, dopo aver destato l’interesse di una vecchia volpe come Mourinho. In tutto questo, la Juve si è comunque lasciata sfuggire, ormai cinque anni fa, un ragazzo che oggi è uno degli elementi più preziosi della Fiorentina, Michael Kayode, scartato senza troppi problemi e bravo nel risalire la china ripartendo dal Gozzano, in Serie D. 

 

È appena iniziato, invece, il cammino dell’Under 23 dell’Atalanta, in cui il legame carnale con la prima squadra è acuito dalla presenza in panchina di Francesco Modesto, uno dei fedelissimi di Gian Piero Gasperini ai tempi di Genova. I primi frutti si sono già visti, con il tecnico che ha attinto a piene mani dalla squadra giovanile per la trasferta di Europa League in casa del Rakow, inutile ai fini della qualificazione agli ottavi, già in cassaforte, ma utilissima per vedere in campo (e a segno) Giovanni Bonfanti, centrale difensivo classe 2003. Una realtà che ha attinto anche ai numerosi ragazzi, decisamente lontani dall’età di  una Primavera, che l’Atalanta in questi anni ha provato a mandare in giro per l’Italia. 

 

Quel che dovrebbe cambiare, a livello generale, è la concezione stessa del termine “giovane”. Mentre in altri campionati non si fanno troppi problemi a lanciare ragazzi di 16, 17 o 18 anni, nel nostro movimento si mantiene l’etichetta di baby fino ai 20-21: e così, nei giorni in cui Allegri concedeva le prime presenze a Barrenechea nello stupore generale, quasi si ignorava il fatto che, in quel momento, a sconquassare il nostro campionato fosse Kvaratskhelia, che di Barrenechea è coetaneo (2001). E anche nelle piazze più virtuose, c’è chi finisce ai margini pur avendo mostrato spunti interessanti: il Sassuolo ha regalato solo scampoli di partita a Volpato (2003) mentre Missori (2004) non è di fatto nelle gerarchie di Dionisi, nonostante il robusto investimento effettuato in estate per portarli in neroverde dalla Roma; Faticanti (2004) non ha ancora visto il campo in Serie A con la maglia del Lecce, prelevato anche lui da Trigoria; Pafundi (2006) è quasi diventato un caso a Udine per il suo mancato impiego. E allora c’è chi va all’estero: da Ndour, prima al Benfica e ora al Paris Saint-Germain, ad Alessandro Ciardi, preso un anno fa, di questi tempi, dal Salisburgo e a Filippo Mane, dal 2022 al Borussia Dortmund, oltre, ovviamente, a Cesare Casadei, che il Chelsea ha mandato in prestito al Leicester di un altro ex centrocampista italiano che si era fatto le ossa all’estero a inizio carriera, Enzo Maresca. 

 

All’orizzonte, però, non si vedono club pronti a seguire il percorso di Juventus e Atalanta: sembra fruttuoso l’approccio di José Mourinho, che in questi anni, anche per evidenziare una certa urgenza relativa al mercato della Roma, non si è fatto troppi problemi nel lanciare giovani della storicamente solidissima Primavera giallorossa, trovando in alcuni casi anche elementi entrati in pianta stabile in rotazione (Bove, Zalewski). E il Milan, spalle al muro per le assenze, ha dovuto fare ricorso ai vari Simic e Camarda, più per necessità che per reale convinzione. Una scelta forzata che in Coppa Italia ha dato altri frutti, come il gol di Traore. Gli investimenti per allestire una squadra Under 23 vengono ritenuti dalle società di Serie A troppo difficili da assorbire, ma pare un approccio miope: per costruire un movimento credibile a livello europeo anche senza il decreto Crescita, è necessario partire dalle fondamenta. E dal coraggio, virtù troppo spesso sottovalutata.

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