Chet Holmgren (foto Ap, via LaPresse)

a canestro

Chet Holmgren sta mettendo in discussione le certezze della Nba

Francesco Gottardi

Per combinazioni fisiche e tecniche, un giocatore così atipico non si era mai visto. L’hanno aspettato a lungo, ora i Thunder se lo godono e la lega si pone la domanda: sarà davvero Wembanyama il prossimo rookie dell’anno?

Lo chiamavano ‘Unicorno’, durante il Draft 2022. Nel senso che fino ad allora non c’era stato esemplare, nel regno animale Nba, in grado di racchiudere le caratteristiche tecniche di Chet Holmgren: ala grande quasi centro, polpastrelli da tiratore scelto, fisico da mezzofondista, passo stanco, agilità felina. Tutto in un solo corpo. Ci ha messo un po’, il grande basket, a vederlo all’opera: un brutto infortunio estivo gli aveva fatto saltare l’intera passata stagione. Ora però Holmgren ha ripreso laddove si era interrotto. Forse meglio. Stupendo tutti, da classe 2002, per mentalità e leadership sul parquet. E se Oklahoma si fa largo di prepotenza al tavolo delle grandi a Ovest – 11 vinte e 6 perse, nel momento in cui scriviamo – sa bene chi ringraziare.

Chet l’aveva detto in tempi non sospetti, lontano dal debutto, lo scorso marzo: “Possiamo raggiungere i grandi Thunder di Durant, Westbrook e Harden”. Ecco, magari oggi manca il terzo tenore. Ma la squadra gira perché il talento di Shai Gilgeous-Alexander non predica più solitario nel deserto: al suo fianco c’è finalmente un secondo violino col nome da jazzista. Holmgren in campo fa impressione. Per movenze e corporatura ricorda una vecchia conoscenza della nostra Serie A come Austin Daye, pure uscito da Gonzaga University. Per tutto il resto, è un concentrato di superstar: canestri da primo Durant, visione di gioco da lungo moderno – senza scomodare Jokic –, apertura alare alla Wembanyama. Pesa 94 chili come il francese. È alto 8 centimetri in meno. Ma il duello a distanza è già partito: Chet era il Rookie of the year designato per il 2023, Victor quello per la prossima primavera. Eppure, il premio che sembrava già scritto si sta rivelando quanto mai in discussione. E così sarà fino alla fine.

I due fuoriclasse del futuro fanno intravedere statistiche analoghe. 19 punti di media Wemba, 18 Holmgren. Che però tira meglio, soprattutto da oltre l’arco con un mortifero 43 per cento. Simile anche il conto di rimbalzi (9,5 a 8), assist (2,6 a 2,7) e stoppate (2,6 a 2,2). Il grande divario è l’effetto sulle rispettive squadre: se Okc vola, San Antonio ha il secondo peggior record di tutta la lega. In questo senso, l’Nba ha elaborato un nuovo indice – Player impact estimate – per quantificare l’efficienza dei singoli: Holmgren registra un punteggio di 14,8, ad appena tre decimali da un big come Damien Lillard; Wembanyama si ferma a 12,3. È soltanto il primo capitolo della storia. L’incipit se l’era già preso Chet nel 2021, quando i suoi Stati Uniti si laurearono campioni del mondo Under 19 battendo proprio la Francia in finale: ai transalpini non bastarono i 22 punti del loro formidabile centro.

Che Holmgren fosse una promessa c’erano pochi dubbi. Che potesse ammutolire i palazzetti di mezza America dopo nemmeno due mesi e i guai fisici alle spalle, non l’avrebbero immaginato nemmeno a Oklahoma City. Ma il ragazzo ha anche testa. Si è preparato a lungo. E sin dai tempi del liceo, con la giusta attitudine. “Credi davvero di poter giocare al livello dei campioni?”, gli chiedeva Jalen Suggs, il compagno di squadra che all’epoca lo iniziò al basket, ora playmaker degli Orlando Magic. Chet rispondeva semplicemente: “No. Ma voglio fare del mio meglio per riuscirci”. Un salto nel presente, 19 novembre 2023. A San Francisco, I Warriors di Steph Curry prendono il largo su Oklahoma: +18 nel terzo quarto. Poi sale in cattedra Shai. Holmgren segue a ruota: career-high da 36 punti e tripla del supplementare sulla sirena. Come un veterano qualunque, di anni venti o poco più.

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