Cesc Fabregas - Ansa

Il Foglio sportivo

Il nuovo percorso di Fabregas

Michele Tossani

Il Como ha messo in panchina l'ex centrocampista del Chelsea per creare un calcio più divertente

La scorsa estate Cesc Fabregas ha rilasciato una lunga intervista al sito The Coaches’ Voice, portale di analisi e approfondimento calcistico per allenatori, addetti ai lavori e per quei tifosi che non si accontentano di vedere le partite, ma che vogliono invece andare al di là del mero risultato finale. In questa intervista (riportata poi anche dal Guardian) l’ex centrocampista della nazionale spagnola parlava della sua ventennale carriera da calciatore di alto livello, che si è conclusa poi in Italia, al Como. Anche se le sue presenze in maglia lariana sono state appena una manciata (diciassette per la precisione) nell’arco di un’unica stagione (2022-2023) è proprio da lì che è partita la nuova vita da allenatore di Fabregas. Il legame fra la città del Lago e Fabregas è forte: Cesc ha infatti acquistato anche una piccola quota azionaria del club lombardo. A questa scelta ha certamente contribuito il fatto che la proprietà del Como appartenga alla società londinese Sent Entertainment dei fratelli indonesiani Michael Bambang Hartono e Robert Budi Hartono (considerati fra gli uomini più ricchi del pianeta) e che il ceo sia l’ex centrocampista del Chelsea Dennis Wise.


Con questa società dunque Fabregas ha smesso di giocare e sotto la medesima ha iniziato ad allenare. Il Como infatti quest’anno aveva affidato la panchina della formazione Primavera (militante nel girone A del torneo Primavera 2, in pratica la Serie B della categoria) all’ex giocatore di Barcellona e Arsenal. Con esiti anche accettabili a livello di risultati se è vero, come è vero, che i baby comaschi sono al momento al settimo posto della classifica con dodici punti conquistati in 8 partite, frutto di tre vittorie e altrettanti pareggi. Improvvisamente però, per uno di quelli strani casi che spesso caratterizzano le carriere degli allenatori, all’arrivo della pausa internazionale di novembre il Como ha deciso di sollevare dall’incarico il tecnico della prima squadra, Moreno Longo. Scelta inopinata, visto che i lariani si trovano in piena corsa per i playoff, con ventuno punti ottenuti nelle prime dodici giornate del campionato cadetto, ad appena 6 di distanza dal secondo posto (che significherebbe promozione diretta in una A che manca  dal 2002-03) e con il derby contro il Lecco da recuperare. Come spiegare questa decisione così imprevista? Non sono in discussione i risultati evidentemente e nemmeno i rapporti che intercorrevano fra Longo e lo spogliatoio. No, a decidere la sorte dell’ex mediano del Torino è stata la volontà della famiglia Hartono di presentare un gioco più convincente al pubblico lariano. Lo ha espressamente dichiarato Mirwan Suwarso, rappresentante della proprietà, nel tradizionale comunicato con cui è stato annunciato l’avvicendamento della guida tecnica. Nel testo diramato si è parlato di “un nuovo percorso che speriamo possa regalare maggiori emozioni e divertimento ai tifosi del Como e non solo”. A supporto di questa affermazione Suwarso ha citato alcuni dati, come quello relativo al basso numero di tocchi di palla registrati dai comaschi nella metà campo avversaria. 


La scelta di esonerare Longo ha avuto quindi un carattere non solo estetico, ma legato anche al recente andamento della compagine lariana. Andamento quantificabile tramite la lettura dei dati. Si tratta del primo caso in Italia di cambio di guida tecnica deciso con i dati.  Il sostituto di Longo è stato dunque individuato in Fabregas. Come potrebbe giocare il nuovo Como? Per farci un’idea, più che alle partite alla guida della Primavera 2 dei lariani dobbiamo tornare all’intervista di Fabregas di cui parlavamo in apertura, nella quale ha parlato dell’importanza di Arsène Wenger, allenatore di Cesc all’Arsenal di Pep Guardiola, che lo ha guidato al Barcellona. Parlando all’ex compagno di Nazionale Luis Garcia durante un’altra intervista, stavolta con CBS Sports, Fabregas ha parlato di come l’aver giocato a centrocampo lo abbia in qualche modo aiutato nella sua formazione da allenatore, proprio per il fatto di essersi trovato al centro di tutto. Il fatto poi di non essere un fisicamente un gigante ne ha sviluppato l’acume tattico. “Ho sempre cercato di analizzare il gioco più velocemente degli altri. Non ero molto forte, molto veloce o molto fisico. Di conseguenza, dovevo cercare di essere più bravo in altri aspetti del gioco. Ho sempre cercato di essere più intelligente e più veloce nella testa”.


Mettendo tutto insieme e considerando anche le critiche rivolte da Fabregas al modello di Antonio Conte (giudicato troppo rigido e con poca libertà concessa ai giocatori in campo) è lecito attendersi per il Como a venire una impostazione incentrata sul gioco di posizione, con massima attenzione all’occupazione degli spazi e al mantenimento del possesso palla. In questo senso il lavoro che lo aspetta è notevole, considerando per esempio il fatto che il Como di Longo è fra le ultime formazioni della cadetteria proprio per possesso medio (45 per cento).Non sarà facile. La transizione da calciatore, per di più di alto livello (quindi poco abituato ad avere intorno compagni che fanno errori), a tecnico non è semplice. Soprattutto nel calcio moderno, che cambia alla velocità della luce. Trent’anni fa l’aver giocato a certi livelli poteva forse rappresentare un aiuto (ma questo non ha impedito a un Arrigo Sacchi di imporsi su tanti ex calciatori diventati allenatori). Oggi però, con un gioco sempre più complesso e la possibilità di analizzare gli avversari con ogni sorta di dato e supporto video e sotto ogni punto di vista e con generazioni di giocatori diversi dal passato per formazione culturale, desiderio di migliorarsi e capacità di attenzione, l’essere stati calciatori non rappresenta per forza un vantaggio. Allenare oggi richiede costante studio e applicazione. In questo senso Fabregas dovrà dimostrare di essersi messo definitivamente alle spalle gli anni passati sul campo per riuscire ad incidere sulla sua squadra da un’altra visuale, quella che si osserva dalla panchina.
 

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