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Crocicchi #11

La Juventus sta rovinando, per ora, i piani di solitudine dell'Inter

Enrico Veronese

La vittoria della squadra di Allegri contro la Fiorentina ha lasciato la classifica aperta. La Serie A però sta prendendo una forma definita, mentre il Cagliari di Ranieri sembra aver intrapreso, sorprendentemente, il sentiero giusto

Novembre, periodo di malghe chiuse e rifugi aperti. La transumanza è completata, i dilettanti curiosi del trekking pedemontano prendono il giro largo e tornano a capo, ché poi fa buio presto. Il campionato è ciò che si muove tra una pausa per la Nazionale e l’altra: undicesima giornata, quasi un terzo del calendario, e in classifica la parte destra e la parte sinistra della classifica si vanno definendo. Difficilmente ci sarà osmosi: ci sono squadre che funzionano, come Bologna, Frosinone, Monza, e che emanano l’aura frizzante di qualcosa che sta per succedere. Quelle che funzionavano, il Lecce; quelle che provano a rifunzionare – l’Udinese – e quelle che forse funzioneranno, il Cagliari. Le intermittenti: Fiorentina, Genoa. E le critiche: Salernitana, Empoli, Hellas Verona, Torino. Ma anche Roma e Lazio, divise dall’acqua alla gola e dal risultato transeunte, accomunate dalla disfunzionalità: domenica sarà derby tra Mourinho recidivo e Sarri non del tutto innocente. In mezzo l’Europa, fantasmi incrociati di Slavia Praga e Feyenoord. Il Sassuolo? Non va, ma Berardi sì (e chissà se a gennaio resterà).

Alle 20.30 della domenica, lo scambiatore della Serie A era già apparecchiato: dovesse la Juve perdere, si concordava nel paese, l’Inter a +5 prenderebbe il primo volo. Avendo invece vinto la squadra di Massimiliano Allegri, l’accrocchio non è sciolto, il torneo non ha ancora preso una sua singola strada: se una squadra rimane al passo, pensano gli ottimisti, significa che altre due o tre possono tenerlo. La forza del ragionamento sta nella carenza di narrativa che alberga attorno ai nerazzurri: questa Inter che si assesta in vetta e marcia sicura in Champions League è strutturata, implacabile, granitica senza essere contiana: ma poco raccontabile, ancora. Se non per Hakan Çalhanoğlu, e per esclusione: non eccessivamente bella da vedere, non furente nell’assalto, non vive di rivincite (ma forse di qualche risentimento), non effettua voli pindarici. Si affida ai singoli, everything in its right place in attesa di affinarne vieppiù la coesione: le sue vittorie sono rese quasi banali, mettendo a frutto la superiorità d’organico degli ultimi tre anni, e una panchina lunga dello stesso livello dei titolari. Da che è rispettata e temuta da Josep Guardiola, suscita – al momento – solo il senso della sua comprensione nel circolo delle big europee: non è poco tuttavia, ma se cadesse una volta, quasi nessuno si stupirebbe. Dopo qualche tempo, “la tenerezza è un modo romantico per chiamare l’abitudine”, dice un personaggio minore di Nuovo Olimpo: e questa Inter senza più gli alti e bassi di settembre può anche passare per scontata, senza una scintilla impazzita che la magnifichi agli occhi di un autore.

Dall’altro lato del Naviglio, il Milan ha cominciato a perdere la sua partita interna contro l’Udinese quando è sceso in campo con un 4-4-2 lineare che sapeva di nuovo, anzi, d’antico: il marchio di fabbrica dei primi successi sacchiani, rivisto da Fabio Capello e abiurato dal discepolo Carlo Ancelotti (l’immagine codificata del Milan d’Europa è ormai con il trequartista), ma praticamente inesplorato finora da Stefano Pioli e dalla squadra. Lo schema utilizzato solitamente da chi prende in mano una squadra dopo l’esonero del suo predecessore, al fine di condurla in porto, è bistrattato dalla comunicazione corrente: eppure torna uno dei più completi ed efficaci, ad averci gli uomini giusti per praticarlo. Solo che la rosa rossonera, pur ricca di potenziali varianti tattiche, non contempla le ali come vengono puntualmente concepite, soprattutto in materia di cross alti per due centravanti quasi sovrapponibili: così, complici le assenze specifiche, Yunus Musah è troppo interno per sfornare traversoni a ripetizione, Ruben Loftus-Cheek troppo fisico per sovrapporsi fino alla linea di fondo, Rafael Leão ha troppo campo da coprire senza il sostegno di Theo Hernández. E se i box-to-boxer Rade Krunić e Tijjani Reijnders non dimostrano di essere a proprio agio in quella che sarebbe la loro casella ideale, senza rifornimenti precisi il regale Olivier Giroud e lo scialbo Luka Jović diventano di fatto innocui. Pioli ancora sotto esame: ricorrerà alla difesa a tre, che gli ha consentito quasi un anno fa di riassettarsi bene, in uscita dalle batoste contro Lazio e Sassuolo?

A proposito di moduli: chi ne sa, e si definisce loro “negazionista”, sostiene che valgono solo sulla carta e per i primissimi minuti in campo. Poi prevale l’indole dei giocatori, capaci o meno di trovare da sé una propria posizione: dopo tanti anni di calcio, se ne rende conto anche uno come Claudio Ranieri. Uno che le formazioni alla lavagna le ha provate tutte, anche nell’attuale esperienza di Cagliari: solo che, appunto, un terzino capace di attaccare come un’ala, oppure un regista offensivo sbilanciato dalla panchina sono capaci di stravolgere ogni elucubrazione aprioristica. Più che enfasi e furia, infatti, si chiama eclettismo il percorso raddrizzato dai rossoblu attorno al 70esimo minuto del match interno contro il Frosinone: certo, pali e sfortuna, ma nessun annoiato centrocampista nel ritiro azzurro avrebbe investito una quota sopra la vittoria isolana, mentre i ciociari conducevano meritatamente per 3-0 fuori casa. Un incontro che è già romanzo: se avesse perduto – come tutto lasciava intendere – Ranieri sarebbe stato sicuramente esonerato e la squadra avrebbe almeno tre punti in meno, se non cinque o sei. Ovvero, un presagio di Serie B. Invece, la classe di Gaetano Oristanio (provato prima in attacco, poi laterale, ogni tanto nella trequarti), la trazione del sottovalutato Antoine Makoumbou anche in zona gol, l’istinto mai deciduo di Leonardo Pavoletti – l’uomo dell’ultimo secondo – e una condizione atletica in sorprendente crescendo hanno di fatto iniziato il nuovo futuro dei sardi, ancorati pervicacemente alla massima competizione. Da lì, ancora una vittoria a fil di sirena in Coppa Italia a Udine, e ora il minibreak convincente contro il Genoa: in una rosa che esorbita di punte, la prospettiva della nuova LuLa (Zito Luvumbo e Gianluca Lapadula, già decisivo a metà settimana, dopo mesi di stop) rappresenta un’assicurazione per la vita sportiva di Ranieri. Fino alle prossime sostituzioni, naturalmente.

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