Roberto Rigali (il primo a sinistra) - foto LaPresse

Il Foglio sportivo

La corsa di Roberto Rigali è un esempio per tutti

Bernardo Cianfrocca

Ha conquistato l'argento con la staffetta 4x100 agli ultimi Mondiali nonostante fosse l'unico non professionista. Ora sogna l'Olimpiade di Parigi (e non solo)

Roberto Rigali riesce ad afferrare con due dita una mosca che lo stava disturbando sulle tribune del Campo Coni di Bergamo. Un riflesso notevole, più da portiere che da sprinter, sicuramente da atleta che ha imparato quanto sia fondamentale cogliere l’attimo giusto. Rigali ha vinto la medaglia d’argento nella staffetta 4x100 agli ultimi Mondiali di atletica insieme a Marcell Jacobs, Filippo Tortu e Lorenzo Patta. Due aspetti lo differenziano dagli altri: non era con loro nella trionfale Olimpiade di Tokyo (ha preso il posto di Fausto Desalu) e a 28 anni non è mai stato un professionista. Non è tesserato con nessun corpo sportivo militare, le principali fucine di atleti e allori olimpici: “Non hanno mai puntato su di me, forse perché ho iniziato ad andar forte tardi, non ero più un Under 23”, dice senza risentimento, ma con un pizzico di orgoglio per quello che ha iniziato a raccogliere. “Tanta gente è entrata in un gruppo facendo meno di me, ciò però mi è servito anche per avere la 'rabbia' necessaria per andare più forte. Questa medaglia è stata la chiusura di un cerchio e può essere l’apertura di un altro”. 

Il primo cerchio ha visto Rigali nei panni dell’atleta-studente, perennemente nelle retrovie nonostante qualche bel risultato. Da anni partecipa agli Assoluti, nel 2018 e nel 2020 era stato anche medaglia d’argento nei 100 metri dietro Jacobs: “Ma a livello federale sono sempre stato considerato una riserva”. La fortuna non lo ha assistito, c’è voluto un po’ prima che riuscisse ad afferrare le mosche: “Nel 2020, se non ci fosse stato il Covid sarei stato di sicuro all’Olimpiade. Purtroppo nel 2021 un problemino al ginocchio mi impediva di allenarmi regolarmente e i miei risultati non sono stati all’altezza. La staffetta olimpica l’ho guardata a fatica in tv, sapevo che avrei potuto esserci io”. La delusione si è però trasformata in benzina: “Da due anni ho iniziato anche gli allenamenti mattutini in palestra tre volte a settimana”. Un all-in per non lasciare nulla di intentato: “Sto per laurearmi in Scienze Motorie e ho già un master in Fisioterapia, senza medaglia sarei durato solo un altro anno. Sarebbe diventato incompatibile conciliare il lavoro con 5 ore di allenamento al giorno, spesso in doppia seduta”.

Nonostante la mancanza di uno stipendio, Rigali ha trovato sia le motivazioni che l’ambiente per darsi un futuro nell’atletica. Dalla sua Val Camonica si è trasferito nel 2017. L’allenatore Alberto Barbera e il presidente Dante Acerbis lo hanno accolto nella Bergamo Stars, società in cui è tesserato tuttora. Un rimborso per l’affitto, le spese mediche e strutture adeguate: “Mi hanno aiutato a fare il professionista senza esserlo, hanno investito su di me, da qui mi sposto solo per le gare e i raduni federali”, dice indicando una struttura coperta, accanto alla pista. Un’enorme palestra con un rettilineo perfetto per allenarsi anche sui 60 metri della stagione indoor: “Anche d’inverno preferisco stare qui invece di settimane di ritiro al caldo. Sono molto schematico, cambiare pista non mi fa bene. Nei raduni a Roma, faccio quasi fatica a camminare dopo i primi allenamenti”.

A un mese dalla medaglia di Budapest (27 agosto), ha iniziato la preparazione della nuova stagione e del nuovo cerchio della sua carriera: più considerazione attorno, forse anche l’ingresso nel professionismo. L’approccio però non cambia: “Ora non ho in testa le Olimpiadi, l’obiettivo è andar forte. Tutto il resto viene di conseguenza, bisogna solo lavorare per essere al 100 per cento. Non ho mai voluto sapere i programmi delle mie gare, io non ho la tabella memorizzata, c’è il rischio di diventare paranoico. Fino a due mesi prima dei Mondiali, non sapevo nemmeno dove si tenessero”. Un modo di vivere la competizione che gli ha giovato. La possibilità mondiale è nata proprio così, andando forte: “Ho fatto il mio record personale nel primo impegno estivo a Mondovì (10’29’’), poi migliorato a Modena (10’25’’). Sono stato chiamato così a Grosseto a luglio per la staffetta che ha ottenuto il tempo di qualificazione al Mondiale. Lì ho capito che si stavano aprendo porte interessanti”.

Secondo il suo allenatore ci sono ancora margini di crescita: “Può andare sotto i 10’20’’, afferma Barbera. “Sappiamo dove intervenire. Nel finale tendo ancora a irrigidirmi troppo e dovremo curare la corsa in curva”, spiega Rigali. La volontà di schierarlo primo frazionista gli richiede un lavoro diverso: “Sono abituato a correre in rettilineo da centista, i primi allenamenti in curva sono complicati, c’è il rischio di storcere la schiena sul lato di percorrenza. Si deve alternare il verso ogni tanto e imparare a dosare i primi sforzi”. Correre è meno semplice di quanto si pensi, bisogna allenare anche bocca e orecchie: “Gli staffettisti riconoscono la voce di chi passa loro il testimone con l’op, a Budapest mi è uscito un urlo più graffiato del solito, menomale che con Jacobs ci conosciamo bene. A fine gara mi ha chiesto se fossi stato io a urlare in quel modo”, racconta ridendo. Dovrà affinare anche le corde vocali per presentarsi a Parigi. Nessuno però gli dica il perché.

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