Foto Ap, via LaPresse

la coppa del mondo in Francia

Il Galles ha riportato il catenaccio nel rugby

Marco Pastonesi

I gallesi nella Coppa del mondo hanno rivoltato il dogma che ora va per la maggiore nel mondo della palla ovale: serve attaccare e segnare almeno un punto in più. Per il ct Warren Gatland invece è meglio attuare il proprio piano di gioco bloccando quello degli avversari e cercare di subire almeno un punto in meno

Palla lunga e ovale. Primo, non prenderle. La migliore difesa è la difesa. Catenaccio all’italiana. E così il Galles si è già qualificato ai quarti di finale della Coppa del mondo di rugby, resistendo alle Figi (32-26), imponendosi al Portogallo (28-8), demolendo l’Australia (40-6), in attesa di regolare i conti anche con la Georgia (sabato prossimo). Giunto in fase calante, in involuzione tecnica, in crisi economica, il Galles ha rappresentato – finora – la maggiore sorpresa di un torneo in cui rischiava di essere immediatamente escluso. Proprio il Galles, dove il rugby è lo sport nazionale, dove non c’è villaggio o campanile che non detenga un campo, una squadra, un internazionale, e dunque una storia, una leggenda, un mito legato alla maglia rossa dei Dragoni. Ed è risorto forse stravolgendo quello che oggi viene da tutti considerato un dogma: attuare il proprio piano di gioco a prescindere dagli avversari, attaccando e segnando almeno un punto in più. Lo ha rovesciato: meglio attuare il proprio piano di gioco bloccando quello degli avversari, difendendo, pressando e subendo almeno un punto in meno. Doppi placcaggi, uno basso e l’altro mai troppo alto, rischiando l’inferiorità numerica. E poi calci, a cominciare, subito, dal mediano di mischia: calci di liberazione, profondità, spostamento, rimbalzo, passaggio.

L’artefice del “catenaccio gallese all’italiana” è un neozelandese, Warren Gatland. Dimostra più anni di quelli che ha: 60, compiuti proprio durante la Coppa del mondo (ma è facile: dura 50 giorni). Giocava tallonatore – al centro, in prima linea, nelle mischie chiuse, ma negli spazi, come una quarta terza linea, nel gioco aperto - nel Waikato. Per quei tempi era un tallonatore grande e grosso: 1,88 per 95 chili. “Ma quello che mi colpì – racconta Massimo Bortolotti, che giocò con lui anche nella prima squadra del Waikato – erano la sua autorevolezza e la sua tigna. Prima di entrare in campo, l’allenatore chiedeva a ciascun giocatore di dire qualcosa di agonistico o spirituale o esistenziale. Warren, in due parole, inquadrava avversari e partita e dava indicazioni tecniche. Poi, in campo, anche avanti di 60 punti, spingeva i compagni a non mollare mai: ‘no try, no try’, urlava quando gli avversari attaccavano la nostra linea di meta. Per lui quella zona era sacra e inviolabile, una questione di vita o morte, di principio e onore, di ferocia e determinazione, come se gli altri fossero dei ladri o dei nemici a penetrare nella sua casa, o a minacciare la sua famiglia”.

Gatland cominciò ad allenare in Irlanda, fino a guidare la Nazionale. Esonerato quando non riuscì a superare il primo turno nella Coppa del mondo 1999, ricominciò in Inghilterra sublimando Gloucester, tornò in Nuova Zelanda proprio con il Waikato, finché sposò il Galles, prima dal 2007 al 2019, poi dal 2023, subito prima di questo Mondiale, richiamato a furore di popolo per sostituire il fallimentare Wayne Pivac.

In un articolo scritto per il Telegraph, Gatland spiega perché nel rugby si calci così tanto. Semplice: chi calcia di più, vince tre volte su quattro. E non bisogna sottilizzare sui vari tipi di calcio, se è per guadagnare territorio o difendere la fortezza, per andare in touche o far respirare la quadra. Più calci, più vinci. “Se sei il capo allenatore pagato per vincere le partite ufficiali, puoi anche optare per la tentazione di un piano di gioco vincente in tre casi su quattro”. Tant’è vero che nella partita inaugurale di questa Coppa del mondo la Francia, che poi ha vinto, ha calciato in 44 occasioni, più della media che nelle Coppe del mondo 2011 e 2015, e gli All Blacks 39 volte. “E si tratta di due delle più abili squadre al mondo nel gioco alla mano”. E ancora. “Nelle prime otto partite di questa Coppa del mondo c’è stata una media di 56,9 calci, la più alta dalla Coppa del mondo 1995. La nostra partita contro Figi ha registrato il minore numero di calci, 41, ma noi abbiamo comunque calciato di più, 24-17, e abbiamo vinto”. La verità, conclude Gatland, è che “il dominio dei calci in partita deriva dal fatto che oggi esiste un grande equilibrio fra attacco e difesa in termini di rischio e ricompensa e talvolta il vantaggio è non avere il possesso del pallone perché le difese sono ben organizzate”.

Solo un paio di mesi fa Gatland lo aveva chiesto ai propri giocatori: meglio concedere un calcio agli avversari per aver tenuto il pallone in un attacco non riuscito oppure calciare il pallone e lasciare agli avversari l’onere di attaccare? “Ci fu un robusto dibattito, poi controllammo le statistiche e scoprimmo che era meglio lasciare l’iniziativa all’altra squadra”. Anche perché “oggi il regolamento e la sua interpretazione premiano più la difesa che l’attacco”. Gatland sa che “il rugby è un gioco complicato” e “abbiamo la responsabilità di migliorare lo spettacolo”. Ma intanto, palla lunga e ovale, il catenaccio gallese all’italiana funziona.

Di più su questi argomenti: