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Il Foglio sportivo

Inter-Milan è anche la sfida tra algoritmo e marottismo

Giuseppe Pastore

Due squadre diverse, ma finora sempre con gli stessi undici in campo

Alfred Hitchcock stravolse le logiche del cinema togliendo brutalmente di mezzo la protagonista annunciata di “Psycho” prima ancora del giro di boa di metà film. Gli sceneggiatori della Serie A – un torneo che negli ultimi anni non si è fatto mancare alcun tipo di copione, dal legal thriller alla farsaccia passando per il recente dramma ospedaliero di Pogba – hanno voluto essere ancora più provocatori e hanno piazzato la prima curva narrativa già alla quarta giornata, quando i titoli di testa sono appena finiti e a Milano è ancora estate.

Alla luce dei primi quattro derby del 2023, tutti vinti dall’Inter quasi senza concedere palle gol, il vero colpo di scena sarebbe la vittoria del Milan. Se non che il Milan quest’estate è profondamente cambiato, in un modo che ancora non siamo riusciti a comprendere del tutto, ed è questo mistero che lo rende affascinante. Sconosciuti all’appassionato medio, Reijnders e Loftus-Cheek si muovono già con la perizia e la padronanza dei gestori di night club nei poliziotteschi ambientati a Milano negli anni Settanta. È un enigma lo stesso Pioli, sempre sul punto di cadere da gennaio a maggio, poi invece unico pezzo rimasto in piedi sulla scacchiera in un terremoto senza precedenti, ora nuovamente alchimista di rango, elogiato per il modo e la velocità in cui ha ricreato un Milan bello e competitivo, in contrapposizione al piattume creativo della concorrenza. I banalizzatori seriali riducono il tutto al famoso “algoritmo”, si riempiono la bocca del Moneyball, partendo da un film malinteso o comunque lontano mille miglia dalla complessità del business calcistico. Qualcuno si spinge a dire: è bastato cacciare Maldini per far saltare il tappo. Poi magari nelle interviste i calciatori portati al Milan da Maldini rendono omaggio a Maldini e gli uffici stampa chiedono di tagliare quelle battute. E sbagliano, perché è proprio questo il mix che rende il Milan brillante, contemporaneo, vivo: essere tante cose insieme, passato presente e futuro, eredità rischio e visione, proprio come i frutti migliori della modernità.

Di quel piattume creativo che dicevamo prima, l’Inter è orgogliosa portabandiera. E rimanda la palla al mittente: quello che voi considerate un tirare a campare, noi la chiamiamo affidabilità, puro Marottismo, l’unica soluzione possibile per restare a galla senza soldi e senza proprietà. Provateci voi a tirare fuori un coniglio dal cilindro alla settimana chiudendo il mercato in equilibrio tra attivo e passivo, e a stravolgere la rosa vice-campione d’Europa senza peggiorarla, anzi mettendosi in casa addirittura dodici acquisti quasi tutti di livello, esperti, pronti. Marotta ha messo a frutto le lezioni di bilancino impartite da Galliani negli anni del declino berlusconiano e ha trovato una sponda ideale nell’affidabilità fatta manager di calcio, Simone Inzaghi, prevedibile e rassicurante come un episodio di Casa Vianello. Anche oggi manderà avanti gli stessi, chiudendo gli occhi sullo scintillante Frattesi azzurro o sul curriculum di Pavard, secondo una forma mentis che ha i tempi oziosi ma insindacabili della provincia padana: una gestione di campagna, regolare come il corso delle stagioni, che conduce sempre a un raccolto quantomeno discreto – anche se quest’anno, beh, discreto non basterà.

S’incontrano nel derby con una cosa in comune: nelle prime tre giornate hanno schierato tre formazioni uguali, e se non fosse per la squalifica di Tomori sarebbero quattro su quattro. Sono le uniche due squadre di Serie A che non hanno cambiato mai. L’estate non è ancora finita, ma Inter e Milan hanno già le idee chiare.
 

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