Foto Unipublic / Charly Lopez  

ciclismo

Il difficoltoso ritorno della Vuelta a Barcellona

Andrea Trapani

La corsa a tappa spagnola ha sempre cercato di passarci il meno possibile per la capitale catalana. E non solo per i difficili rapporti politici tra Madrid e Catalogna. C'entrano anche antichi rancori ciclistici

La Vuelta 2023 parte da Barcellona. Potrebbe sembrare una notizia come le altre, se non fosse che la Spagna non è l’Italia e i difficili rapporti tra la Catalogna e Madrid hanno radici antiche. Anche nel ciclismo.

 

Barcellona, centro dello sport

Erano ben sessantuno anni che la corsa mancava da queste strade. All’epoca la camiseta era ancora gialla e gli spagnoli stavano vivendo l’inizio del “Desarrollo”, il miracolo economico che durò circa tre lustri. Stavolta è diverso: la prima tappa - una cronometro a squadre di 14,6 km – è una semplice vetrina della città olimpica mentre domenica, nella frazione tra Mataro e Barcellona, si avrà il passaggio sulla collina di quel Montjuic che sta vivendo un’inattesa seconda vita dopo le Olimpiadi del 1992. In questi mesi il promontorio, infatti, è diventato il fulcro della città: lo stadio olimpico sta ospitando il Barcellona durante i lavori al Camp Nou e la Vuelta è “costretta” a una specie di inchino al circuito più famoso della Volta a Catalunya. Niente di più naturale se non fossimo nel mezzo dell’agone politico.

 

Il primato della Volta a Catalunya

Anche nel ciclismo c’è stata una certa competizione tra Barcellona e Madrid per intestarsi la primogenitura della prima (vera) grande gara a tappe. Se oggi la Vuelta è uno dei tre grandi giri, la Volta a Catalunya ha una tradizione ben più lontana nel tempo visto che prese vita per merito di Miquel Arteman, direttore del quotidiano sportivo El Mundo Deportivo, già nel 1911. In pochi decenni divenne un simbolo della cultura sportiva catalana, un primato che a Madrid veniva sofferto non poco. Al contrario non fu facile far affermare la Vuelta, disputata per la prima volta nel 1935 e annualmente solo dal 1955. La corsa roja ci mette del tempo prima di essere riconosciuta tra le grandi e se c’è chi dà il merito a Poulidor e Anquetil, i primi grandi campioni stranieri nell’albo d’oro, è con il nuovo calendario internazionale che la Vuelta conquista il ruolo che ha oggi.

 

La lenta affermazione della Vuelta tra i Grandi Giri

Una lunga attesa per una manifestazione che pure era nata predestinata: come il Giro, e ancor prima come il Tour de France, anch’essa è figlia di un giornalista, Juan Pujol, direttore dell’Informaciones, che decise di farla correre in aprile, in aperta concorrenza con la corsa rosa. Un errore fatale che fu risolto solo nel 1995 quando la Vuelta si spostò a settembre: ne beneficiarono tutti, soprattutto i ciclisti che potevano finalmente scegliere tra Spagna e Italia. In realtà, con il senno di poi, non fece un gran favore al Giro ma questa è un’altra storia.

Non ne ha sofferto invece la Volta a Catalunya che lasciò alla cugina il mese di settembre per posizionarsi a giugno. Mal di poco, le due corse erano e rimanevano su due strade vicine ma parallele, senza mai incontrarsi. Fino ad oggi, almeno.

 

La partenza da Barcellona tra politica e sport

Se per decenni ben pochi si sono lamentati del fatto che la Vuelta ignorasse Barcellona, in queste ore lo scenario politico - spaccato a metà nel nuovo Parlamento spagnolo - ha riportato le polemiche sulla questione catalana all’ordine del giorno. Tanto che il nuovo sindaco di Barcellona, ​​​​Jaume Collboni, si è trovato a dover difendere la partenza della Vuelta dalla sua città. Nell’intervista rilasciata giovedì a El Periodico, ha detto che la corsa rappresenta "un grande simbolo con il quale lasciamo alle spalle i tempi del confronto e ci impegniamo per la convivenza in una Spagna plurale". Per questo ha rilanciato dicendo che "Barcellona è la co-capitale della Spagna e vale ricordarlo per il bene di tutti". Quello che doveva essere solo un saluto di cortesia, è diventato oggetto di un altro dibattito politico proprio mentre Pedro Sanchéz sta cercando una mediazione tra i catalani di Junts e la sua coalizione. Una sfida più ostica dei tornanti del Montjuic.

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