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Wyndham Clark ha vinto l'US Open. Meteora o inizio di una carriera di successo?

Corrado Beldì

Lo statunitense ha vinto il primo major in carriera al North Course Los Angeles Country Club precedendo di un solo colpo Rory McIlroy e mettendosi alle spalle il numero uno al mondo, Scottie Scheffler

Un parco giocatori larghissimo, nessuno escluso, un campo nuovo e 122 edizioni alle spalle, la curiosità di capire chi avrebbe vinto dopo l’accordo tra sauditi e Pga Tour, soprattutto una nuova generazione di giovani giocatori pronte dalle battaglia. Che il gioco si sarebbe fatto duro si è capito dal primo giro. A venti minuti di distanza, Rickie Fowler e Xander Schauffele hanno chiuso entrambi in 62 colpi, uno in meno del 63 diJohnny Miller cinquant’anni fa a Oakmont. Un giro che rimane leggendario e gli permise di battere Tom Weiskopf, Jack Nicklaus, Lee Trevino e sul suo campo l’allora imbattibile Arnold Palmer, scalare 25 posizioni nell’ultimo giro e vincere uno US Open che per alcuni avrebbe giustificato il ritratto di Johnny Miller sul Monte Rushmore.

Parlare del Los Angeles Country Club non è così semplice, non ci sono memorie, è la prima volta che ci si gioca un major. L’unico riferimento è Lawson Little, che nel 1940 fece doppietta, il Los Angeles Open su questo campo e lo US Open in Ohio con un colpo di vantaggio su Gene Sarazen. Di quella vittoria dell’8 gennaio 1940 non resta molto, era un’America in attesa di qualcosa. Pearl Harbour era lontana, fu il giorno dell’offensiva finlandese contro i sovietici raccontata da Curzio Malaparte in Kaputt, la scena infernale dei cavalli imprigionati nel ghiaccio. Anche a Los Angeles quel giorno pioveva e Lawson Little certo aveva avuto uno spunto più degli altri, grazie a una sacca con 26 sceltissimi bastoni. Più difficile domare un campo con 14 bastoni, lo sa bene il campione in carica Matt Fitzpatrick, davvero difficile ripetersi l’anno dopo, accadde a Bobby Jones, a Ben Hogan, aCurtis Strange. Mai a un inglese. La sua buca in uno 15 del secondo giro ha fatto sperare alla doppietta ma poi ci sono stati troppi errori, come per Victor Hovland, per Jon Rahm e per Tommy Fleetwood alla fine ottimo quinto.

All’alba dell’ultimo giro il pronostico sembrava presto fatto. Era in testa Wyndham Clark, ventinovenne di Denver. Una sola vittoria al Pga Tour, mai arrivato oltre il 75esimo posto in un torneo del grande slam e quell’aura di un giovane intruso che si sarebbe inevitabilmente squagliato al sole, sotto la pressione del beniamino nordirlandese Rory McIlroy, già numero uno al mondo, prodigioso su qualunque campo e soprattutto di Rickie Fowler, tra i più forti americani dell’ultimo decennio, in attesa della consacrazione. La vittoria di Fowler sembrava sembrata una storia scritta, è californiano e questo campo lo conosce bene, ha i vestiti più colorati del tour e dopo tre secondi e un terzo posto nei major e quegli otto colpi guadagnati nel primo giro. Invece è accaduto il contrario, sei bogey nell’ultimo giro, cinque colpi sopra il par e alla fine Fowler è precipitato, occhi tristi davvero i suoi alla 18, in quinta posizione.

Rory McIlroy ha avuto i suoi momenti, due 30 nei primi due giri, un terzo conservativo e al quarto, quando eravamo pronti ai soliti up and down, un round praticamente perfetto. Il birdie alla 1 e poi tutti par tranne un bogey alla 14, tutto quello che è un campione deve fare per vincere, sapendo che l’unico concorrente rimasto, il povero Wyndham Clark, prima o poi si sarebbe fatto contorcere dalla pressione. Invece non è stato così, il tracollo di Wyndham Clark non c’è stato, quattro bogey nell’ultimo giro di un US Open possono essere fatali ma il giovane campione americano, ora lo possiamo chiamare così, ha risposto con quattro birdie, soprattutto alla 14 dove McIlroy ha preso un bogey, il passaggio decisivo prima di due par portati a casa alla 17 e alla 18 per sollevare, tra l’incredulità del pubblico, la coppa d’argento con incisi i nomi di Bobby Jones, Jack Nicklaus, Willie Anderson, Ben Hogan tra i più premiati. 

Meteora o inizio di una carriera di successo? Temiamo la prima ma ci piace immaginare la seconda. L’altra vittoria di Wyndham Clark a maggio a Phoenix un mese fa era stata impeccabile, nel frattempo ha sfiorato la vittoria al Memorial, ora è al quarto posto in classifica nel tour. Lo attendono i campi europei, di certo lo vedremo a Roma per la Ryder Cup. Non sarebbe la sua prima in un torneo a squadre, nel 2014 era stato selezionato per la squadra di Palmer Cup, sfida tra giovani dei college americani ed europei. Clark conquistò mezzo punto nei foursomes ma perse nei singoli contro Jon Rahm. Ne nacque un’amicizia che gli servirà. Un altro indizio sul futuro, in un dopo torneo in cui tutti ci precipitiamo a studiare le scarne biografie e a interrogarlo in sala stampa. Dice, “sento di essere uno dei migliori giocatori al mondo”, parla della sua carriera fino a ora come di una “traiettoria perfetta, fin troppo rapida”, tra i migliori vuole restarci ma si affretta a dire che, di certo, “voglio piacere ed essere simpatico a tutti, apparire umile ma forte”. Come andrà lo vedremo più avanti, oggi forse è solo un nostro pensiero perché Wyndham Clark, con un grande sorriso, la medaglia d’oro al collo e il trofeo d’argento accanto a sé sul tavolo della conferenza stampa, ben pronto a una grande festa, non sembra preoccuparsene per nulla.

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