Franco Chimenti (Ansa)

Il Foglio sportivo

“Così faremo esplodere il golf in Italia”. Parla Franco Chimenti

Corrado Beldì

Alla vigilia dell’Open d’Italia il presidente della Fig fa il punto sul grande appuntamento di settembre, la Ryder Cup a Roma: “Qualunque cosa accada, per noi sarà una vittoria”

Che sia un sognatore ormai lo hanno capito tutti, fin da quando divenne presidente della Federazione italiana, col chiodo fisso di rendere popolare il golf. Poi un bel giorno arrivò in consiglio con la proposta di portare in Italia la Ryder Cup, la terza manifestazione sportiva più seguita al mondo, come immaginare i Mondiali di calcio in Bangladesh. “Qualcuno mi guardò come se fossi impazzito, in effetti era un’impresa ben sopra le nostre possibilità”. Mai nessuno aveva usato tanto, il golf da noi non ha mai sfondato, certo quel putt imbucato alla 18 di St. Andrews da Costantino Rocca lo hanno visto in tanti, abbiamo campi storici e un paese unico per realizzare percorsi in mezzo alla natura, sul mare, tra i parchi archeologici, in un contesto che tutti ci invidiano. Immaginare la Ryder Cup dove il golf è ancora uno sport di nicchia era certamente un azzardo.

 

“Ero molto solo, la documentazione era costosa e complessa. Come sempre veniva fuori il refrain italiano, ma chi ce lo fa fare di partecipare per perdere?”. Incontriamo Franco Chimenti alla vigilia del 80esimo Open d’Italia, ovviamente a Roma, al Marco Simone Golf & Country Club, uno stuzzichino in vista della competizione di settembre, sarà un momento epocale e questa è una importante tappa di avvicinamento. La lista dei partecipanti è buona, molti americani e altri giocatori al top della classifica saranno impegnati al Wells Fargo Championship a Charlotte ma a Roma non mancheranno alcuni dei nostri, il capitano europeo Luke Donald, ex numero uno del ranking, lo scozzese Robert McIntyre che difenderà il titolo conquistato nel 2022 e poi gli italiani, l’esperienza di Edoardo Molinari e il talento di Guido Migliozzi, 28esimo la scorsa settimana in Giappone, molto atteso in una stagione che speriamo gli possa dare un posto in squadra, i danesi Thorbjorn Olesen e Rasmus Hojgaard, già vincitori del torneo, tutti qui per testare il campo che a settembre sarà sotto i riflettori con 3 miliardi di spettatori collegati in diretta per la grande sfida.

 

“L’abbiamo cambiato molto, è stato notevolmente allungato, nuovi bunker, tanta acqua, è diventato un percorso difficile, anche per i migliori”. Non a caso l’anno scorso Rory McIlroy ha messo la pallina in acqua alla 16, un par quattro facile solo in apparenza, una delle buche che potrebbero mettere in difficoltà gli americani. “Qui la lunghezza non conta, se sbagli il drive la palla può diventare ingiocabile. Abbiamo costruito negli anni un campo che sorprenderà e forse potrebbe aiutare la squadra europea”. Lo si è visto nelle ultime tre edizioni, i punteggi si sono abbassati, i greenkeeper ci hanno messo qualche malizia, motivo in più per cui anche quest’anno a vincere saranno i migliori. Parliamo dei campioni del presente e del passato, della storia dell’Open d’Italia, delle leggende, dei ricordi di Baldovino Dassù e ancora più indietro dei tempi dei tre moschettieri del nostro golf, Alfonso Angelini, Aldo Casera, Ugo Grappasonni, peccato non abbiano giocato abbastanza a livello internazionale, negli anni cinquanta qualche vittoria in più l’avrebbero di certo ottenuta. “D’altra parte, per arrivare alla Ryder Cup siamo andati a giocare fuori dai confini. Considerate le condizioni del paese ci prendevano per matti. Poi qualcosa è cambiato”. Chimenti racconta della fiducia che trovò in Keith Pelley, ceo dell’European Tour, “è arrivato dal Canada, si era occupato di football, per fortuna aveva la mente sgombra da preconcetti. Gli parlai e fu colpito dall’idea di far venire il meglio del golf in un posto impareggiabile”. Un percorso unico, a due passi dal centro, con una bella vista, sono i miracoli del teleobiettivo, sulla Cupola di San Pietro.

 

Miracolo italiano. Nei contesti più difficili può accadere perché a volte qualcosa cambia. Nel caso della Ryder Cup, contro ogni previsione, fu l’allora premier Matteo Renzi a credere nell’idea di portare la competizione internazionale in Italia. Un risultato insperato che ha richiesto una raccolta fondi significativa. “Ci abbiamo lavorato molto e ora siamo qui, a quattro mesi dal grande evento, con un Open d’Italia che ha un budget più basso del passato ma non importa. Siamo usciti dalle Rolex Series con un risparmio di 5 milioni l’anno e abbiamo dato più risorse alla realizzazione di una Ryder Cup in cui tutto dovrà girare alla perfezione, magari anche con la vittoria dei nostri”. A oggi ogni pronostico lascia il tempo che trova. I giochi si fanno negli ultimi due mesi, dallo Scottish Open in avanti. Al momento gli standings danno per certi Matt Fitzpatrick e Tyrrel Hatton e poi ancora Tommy Fleetwood e Shane Lowry come possibili wild card, un poker d’assi che darebbe serenità al dodici europeo. C’è pressione “per avere un italiano in squadra”, la qualificazione di un azzurro farebbe da traino al team europeo “perché nella Ryder Cup c’è un tifo da stadio” e la speranza di una tre giorni memorabile per Victor Hovland, Rory McIlroy e John Rahm che dopo la vittoria al Masters è tornato numero uno al mondo, “è lui il leader del presente e del futuro, quello che può farci fare la differenza”.

 

Qualunque cosa accada, alla fine “per noi sarà comunque una vittoria”. La visione di Chimenti è globale, la Ryder Cup porterà turismo e una nuova e inedita attenzione verso il golf “che quest’anno dovrà esplodere e diventare diffuso in tutta Italia, perché con questo sport possiamo costruire un futuro migliore, in equilibrio tra turismo e sostenibilità”. Franco Chimenti racconta il sogno di un paese che tra dieci anni sarà la Scozia del Mediterraneo, con turisti da tutto il mondo e talenti italiani vincitori sui campi internazionali. Ci chiediamo se sia possibile, a oggi i risultati gli danno ragione, “eppure all’inizio lo pensavo solo io!”. È una frase che ripete spesso, con un filo di ironia e a noi piace sentirglielo dire. Abbiamo pazienza, basta aspettare qualche anno e allora capiremo se questo sognatore sarà davvero riuscito nell’impresa di cambiare gli equilibri dello sport italiano.

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