Foto Epa, via Ansa

Il Foglio sportivo

Billy Beane dall'America al Milan. Quando il metodo moneyball funziona

Roberto Gotta

I rossoneri si affideranno a un gruppo guidato da Geoffrey Moncada e ispirato all’analisi di dati, numeri e tendenze per scegliere giocatori. Attorno all'addio di Maldini e alla scelta della società è sorto un clamore esagerato e sorprendente, che a un certo punto si è spezzato in due tra narrazione veritiera e mitologia gonfiata

Billy Beane ha fatto i soldi, da dirigente sportivo, consulente, investitore. Ma ne avrebbe fatti ancora di più se avesse preteso un dollaro per ogni citazione corretta del libro dedicatogli da Michael Lewis, Moneyball, e dei metodi che lo ispirarono e un dollaro e mezzo per ogni citazione fatta a sproposito. Del resto, questa è stata la settimana di Beane e di Moneyball, degli algoritmi e del tanto al chilo, dei metodi scientifici di valutazione e delle parole non scientifiche di commento. Sì, il Milan di Gerry Cardinale, di cui Beane è consulente, farà a meno di Paolo Maldini e Frederic Massara, il cui lavoro passerà a un gruppo guidato da Geoffrey Moncada e ispirato all’analisi di dati, numeri e tendenze per scegliere giocatori di impatto a costo non eccessivo. Ma su questo metodo, il metodo moneyball, tra l’altro applicato nel calcio da almeno un decennio, è sorto un clamore esagerato e sorprendente, che a un certo punto si è spezzato in due tra narrazione veritiera e mitologia gonfiata.

Il libro, allora: pubblicato nel 2003 e trasformato in un film di grande successo interpretato da Brad Pitt, racconta come Beane, general manager degli Oakland A’s di baseball, abbia cambiato il tradizionale modo di valutare ed acquisire giocatori, in uno sport in cui il gesto tecnico può essere scomposto in una miriade di elementi, prima nemmeno concepiti. Il battitore, precedentemente giudicato solo per la sua capacità di battere fuoricampo o colpire con frequenza, veniva ora analizzato anche nell’abilità nel valutare il lancio e dunque scegliere se colpire o meno, nella velocità di uscita della pallina, nella costanza nel colpirla col punto della mazza che genera la maggiore potenza. Variazioni di centimetri che possono fare la differenza tra un battitore potente ma ‘fortunato’ e uno meno potente ma più continuo nell’approccio e quindi destinato ad avere un maggiore rendimento nel tempo.

La concretezza contro l’apparenza, il dettaglio nascosto che smentisce l’evidenza. Come raccontano, nel calcio, una serie di episodi del 2015, a Liverpool, narrati anni fa dal New York Times: Ian Graham, responsabile del dipartimento statistico, fece vedere al neoassunto Jürgen Klopp un dossier sul suo Borussia Dortmund 2014-15. Il Dortmund era arrivato settimo, ma studiando ogni azione di ogni partita Graham aveva determinato che il suo reale valore sarebbe stato quello del secondo posto. Klopp reagì stupito quando sentì menzionare uno 0-2 contro il Mainz in cui qualsiasi statistica avanzata avrebbe determinato una netta vittoria del Dortmund, sconfitto invece da un gol fortunoso e un autogol, e il succo era questo: se il settimo posto valeva in realtà il secondo, Klopp aveva fatto un lavoro forse migliore che nei due anni dei titoli vinti e anche per questo motivo era stato chiamato a sostituire Brendan Rodgers. 

Ma Graham, che lascia il Liverpool in questi giorni, dopo 10 anni, fece anche altro: studiando i dati, suggerì l’acquisto dalla Fiorentina di Momo Salah, che era precedentemente stato bollato come inadatto alla Premier League sulla base di sole 13 partite con il Chelsea. Graham scoprì che in realtà in quelle poche occasioni l’attaccante egiziano non era andato peggio di quanto poi fatto alla Fiorentina e alla Roma, e che dunque valesse la pena acquistarlo. Nel 2020, infine, Diogo Jota fu preso perché l’analisi delle sue prestazioni con il Wolverhampton aveva mostrato un’altissima capacità di effettuare passaggi precisi con il piede debole, il sinistro, e scoperto che con la sua pressione e le sue capacità di recupero palla aveva costretto a falli da ultimo uomo e successiva espulsione un difensore ogni 10 partite, forse un dettaglio ma in grado di condizionare quella partita all’anno che magari fa la differenza. Tre esempi di un approccio che ormai dilaga ovunque e a qualsiasi livello, con la variante data da criteri leggermente diversi che i vari club possono adottare e utilizzare per le scelte finali.

Quello che colpiva, all’inizio, era che gente come Graham e i suoi collaboratori, laureati in materie tra la fisica quantistica e l’astrofisica, le partite nemmeno le vedessero, nonostante la passione di alcuni di loro (Graham per primo) per il calcio: il loro compito era studiare i dati puri e trasmettere ai direttori sportivi gli elenchi dei giocatori più adatti a un certo tipo di filosofia, non ancora noti e quindi ancora a buon mercato, e allo staff tecnico le caratteristiche degli avversari. Staff tecnico che nel caso del Liverpool ha sempre voluto dire responsabili video: sta poi a loro produrre documentazione concisa, digeribile, da passare a Klopp e ai suoi collaboratori, che possono scegliere se utilizzarla in parte o in toto. Perché va ricordato che lo stesso Klopp, in Germania, aveva sempre preferito affidarsi ai metodi tradizionali, riprendendo inconsapevolmente l’annoso conflitto tra vecchia e nuova scuola, visibile anche nel film Di nuovo in gioco, interpretato da Clint Eastwood, e solo dopo quel colloquio con Graham si era convinto a inserire nella preparazione delle partite il le informazioni statistiche.

Al di là di atteggiamenti fideistici e fanatici, dunque, il metodo moneyball, termine peraltro spesso rigettato dagli stessi specialisti, è semplicemente l’ultimo stadio di un’evoluzione che a seconda dei paesi aveva seguito strade diverse. In Inghilterra, per esempio, già nel 1950 un comandante dell’aeronautica appassionato di calcio, Charles Reep, aveva cominciato a studiare le partite con un block-notes ed analizzando i suoi appunti aveva constatato che la maggior parte dei gol nasceva da azioni con tre o meno passaggi. Assoldato nel febbraio del 1951 come consulente dal Brentford, che era in zona retrocessione, contribuì a salvarlo portando la media gol da 1,5 a tre e influenzando numerosi tecnici tra cui Charles Hughes, futuro direttore tecnico della federazione inglese. Di fatto, il pensiero congiunto di Reep e Hughes portò all’adozione del kick and rush, palla lunga e pedalare, praticato da almeno due generazioni di calciatori inglesi. Ai critici, specialmente stranieri, Hughes aveva risposto citando Arthur Rowe, allenatore del Tottenham campione nel 1951 che praticava invece il push and run, dai e vai, gioco di passaggi corti e movimenti eppure aveva detto “se avessi giocatori in grado di fare lanci precisi di 50 metri li userei senza problemi”. Gli studi di Reep e Hughes sono stati in parte smentiti da analisi più profonde, ma in quell’approccio c’era la base dei metodi attuali che proprio al Brentford hanno trovato l’applicazione più celebre negli ultimi anni, così come nel club gemello, il Midtjylland. E del resto anche Beane, i cui A’s hanno fatto meglio del previsto ma mai vinto nulla, a dispetto del sottotitolo del libro (L’arte di vincere), ha solo approfondito e ampliato quanto era già stato ideato molti anni prima da uno storico e giornalista, Bill James, autore dal 1977 di un almanacco annuale chiamato Baseball Abstract. La lunga marcia dell’analisi dettagliata, secondo un memorabile articolo del sito The Ringer, si è conclusa vittoriosamente nell’ottobre del 2016, quando i Chicago Cubs hanno vinto il campionato Mlb, dopo 108 anni, grazie alla gestione del general manager Theo Epstein, un artefice del metodo moneyball, anche se non lo chiamava così. Avvalendosi anche della consulenza di James, quello che un allenatore vecchio stile (e comunque campione Mlb) come Sparky Anderson aveva definito, con disprezzo, “quel ciccione con la barba che non capisce niente di niente”, Epstein nel 2004, solo 29enne, aveva riportato al titolo, dopo 86 anni, i Boston Red Sox, di cui era diventato GM dopo il rifiuto di… Beane. I Red Sox dal 2002 sono di proprietà del Fenway Sports Group, che nel 2010 ha acquisito il Liverpool, di cui nel 2021 stava per diventare socio al 25 per cento un gruppo (RedBall) capitanato da Cardinale e Beane, e il cerchio si chiude ora al Milan.

È matematica, direbbero in alcune parti di Italia. Paradossalmente è proprio così.

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