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Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

De Laurentiis-Spalletti, il giusto addio

Alessandro Bonan

Erano destinati a vincere, un grande imprenditore e un grande allenatore. Ma così come si sono presi, è bene che si lascino, senza drammi e senza falsa poesia. È la scrittura di molti fortunati incontri, felici nell’attimo, destinati al mai.

Aurelio de Laurentiis è l’immagine di un albero, non lo scopri per bene se non gli giri intorno. E comunque nemmeno questa azione basta, perché poi ci sono i rami, le foglie, un’altezza indefinita. Spalletti è come un piccolo pezzo della sua terra rimasto incolto. È lì, subisce le intemperie, nessuno ha pensato di seminarci qualcosa. È verde quando piove, è grigio di terra secca durante la siccità. Del primo puoi dire qualcosa che resta un’opinione, una delle tante (puoi arrampicarti sugli alberi?), del secondo, ciò che vedi, è, in sintesi, soggettivo uno, oggettivo l’altro, imprendibile il presidente, leggibile l’allenatore. 

 

De Laurentiis è un sorriso enigmatico, una Gioconda fuori dal quadro, privo di quella dolcezza appena accennata che si nota nell’espressione di Monna Lisa, ma con addosso tutta la misteriosità dipinta da Leonardo. Chi è Monna Lisa? Chi è Aurelio, perché quando parla sembra rivolgersi al vuoto, come se non riconoscesse nessuno al di fuori di sé? La fine del rapporto con Spalletti sta nascosta in questa mancanza di orizzonti. De Laurentiis ritiene che lo scudetto sia il frutto di una lista di intuizioni personali, tra queste anche l’allenatore di Certaldo. Quindi, il futuro lo decide lui, e il resto è solo una piccola mancia a chi ha lavorato per il raggiungimento di un obiettivo. Manovalanza, poco più. De Laurentiis sa come muoversi, ha idee, immagina, “vede” quello che a molti è coperto dagli schemi. Visionario per inclinazione e discendenza, visto che il cinema è soprattutto distrazione dalla realtà, realizza opere. Un fuoriclasse in questo, ma privo di quel sentimento che lo renderebbe migliore come uomo (ma chi sono io per giudicare un uomo?) anche se forse (cento volte forse) meno efficace come imprenditore. 

Come molti personaggi di successo, ha bisogno di cambiare per riaffermare la propria leadership, il tedio di una giornata uguale all’altra lo perseguita. Dentro questo complesso schema psicologico, si inserisce (molto a fatica) la figura di Luciano Spalletti, solitario per vocazione, ombroso per diletto, di contadina nobiltà e filosofica inclinazione intellettuale. Per Spalletti le parole pesano come sassi che cadono da cielo. Se parli di lui devi essere certo di quello che dici e delle conseguenze che provochi. Giustamente, verrebbe da aggiungere, ma con eccessi dovuti all’abuso di sospetti (contadino denso e sospettoso, scriveva il senese Federigo Tozzi). Spalletti e De Laurentiis erano destinati a vincere insieme, tenute asciutte le qualità intrinseche delle due persone. Spalletti nato grande allenatore, De Laurentiis nato grande imprenditore. Ma così come si sono presi, è giusto che si lascino, senza drammi, senza falsa poesia. È la scrittura di molti fortunati incontri, felici nell’attimo, destinati al mai.

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