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Spalletti è riuscito a unire tutte le anime di Napoli

Giorgio Burreddu

La tattica, il gioco, l'improvvisazione e la rigidità degli schemi. Viaggio dentro la squadra che ha riportato lo scudetto sotto il Vesuvio dopo trentatré anni

Una metà crede. Per loro questo scudetto è il compiersi di un miracolo, il tocco della grazia divina su una squadra, una città, un popolo. E’ stata la mano di dio, dicono. Poi c’è la metà che pensa. Ed è fatta di match analyst, di uomini di scienza, di ingegneri della tattica. Chi ha ragione: la fede o la scienza? E Luciano Spalletti è o no un profeta? Di questo Napoli non si compirà mai una sintesi adeguata perché la dialettica prevede troppe sfumature. Non solo la nostra è un’epoca fatta per avere più posizioni, più punti di vista, è la natura stessa di Napoli a essere multiforme. D’altra parte fu Marcello Mastroianni, artista sensibile che di Napoli non era, a definire questo luogo baciato dal sole e dalla nostalgia come “troppo speciale”: “Napoli non tutti la possono capire”. E’ dentro questa complessità che si è inserito Spalletti, abile frontman e allenatore scaltro, preparato, puntiglioso. E’ lui che ha dato una forma organica al caos primordiale.

Anche per questo sono nati così tanti esegeti dell’allenatore toscano. La Aiapc (Associazione italiana analisti di performance calcio) ha fatto diversi studi sul gioco di Spalletti. In uno degli ultimi straordinari report, per esempio, si possono leggere pagine e pagine di analisi. “Il gioco si sviluppa principalmente sulle fasce con triangolazioni tra il terzino, la mezzala e l’esterno d’attacco”. “Una costante che troviamo sempre nelle azioni del Napoli sono le sovrapposizioni dei terzini”. “Il Napoli cerca sempre di indirizzare l’azione d’attacco avversaria verso il lato in cui crea maggiore densità”. È un linguaggio tecnico, specialistico, che accoglie gli adepti e scoraggia i sentimentali. Ma che dimostra quanto il lavoro di Spalletti abbia influenzato (e non certo dall’esperienza sotto il Vesuvio) tattici e appassionati di organizzazione. Strano, tuttavia, come possano convivere posizioni opposte. Il Napolista ha parlato di Spalletti che “stravince perché è l’antitesi del dogmatismo tattico”. E ancora: “L’imprevedibilità del Napoli che stordisce gli avversari costringendoli al catenaccio è figlia di almeno tre scelte”. Che sono tutte di libertà: nessuno è prigioniero del possesso palla, più dribbling e gesto tecnico, autonomia tattica.

Come può una squadra essere libera e rigida insieme? Tranquilli: hanno tutti ragione. E in fondo questo è il bello. Napoli continua a essere la città dell'improvvisazione, degli amori al muretto, quella che si sveglia la notte e che sonnecchia di giorno; è la città dei melò, dei bambini per strada, la stessa che negli Ottanta si bloccò di colpo, come in un fermo immagine, per godersi meglio lo spettacolo Maradona (sempre lì torniamo) proprio come nel film di Sorrentino. Quel Napoli si reggeva sulla fantasia, vincendo tra contraddizioni e lampi di classe. Perfetto per la città dei poeti, degli intellettuali colti, di università prestigiose, e di quelli che vogliono cantare, sognare e fare il cinema. Certo, una città che ha fatto l’upgrade dei dolori contemporanei, con il lavoro che manca, con le difficoltà dei giovani, le paure al muretto (mica solo gli amori), il divario tra ricchi e poveri che si fa sempre più largo e ingiusto. “Non è una città: è un mondo”, l’ha definita Curzio Malaparte. Antico e precristiano, “rimasto intatto alla superficie del mondo moderno”.

A unire tutte queste anime, nuove e vecchie, e a dar loro una forma organica e organizzata, è stato dunque Spalletti. Dando un taglio al vittimismo. “Lamentarsi è da sfigati”, ha detto una volta. Introducendo l’epica. Al punto che certe frasi rimarranno scolpite nel grande racconto delle generazioni future. Tipo: “Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli. Non c’è altra strada”. Spalletti ha aggiunto calcestruzzo ai sogni, che sono evanescenti per definizione. Ha messo insieme tutto nei moduli e nelle strategie. I numeri del Napoli parlano di miglior attacco, della squadra col miglior possesso palla, che ha vinto di più, che ha fatto più assist, più tiri (dopo l’Inter). E anche se non l’ha mai detto, mister Luciano va benissimo per quella battuta, che ormai è un cult, da gridare a chi pensava di non farcela nemmeno stavolta: “Napoli, non ti disunire”.

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