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19a tappa: Longarone-Tre cime di Lavaredo

Giro d'Italia. Buitrago vince sotto le Tre cime di Lavaredo dopo la grande illusione dolomitica

Giovanni Battistuzzi

Lo scalatore colombiano ha vinto la 19a tappa della corsa rosa. Sarà la cronometro che porta al Monte Lussari a decidere chi tra Geraint Thomas e Primoz Roglic vestirà la maglia rosa a Roma

Quando verso il Passo di Campolongo – benché ufficialmente la salita non era ancora iniziata – Ben Healy ha attaccato a oltre centodieci chilometri dall’arrivo e Thibaut Pinot lo ha prima inseguito e poi seguito e la squadra della maglia rosa ha accelerato il passo e il gruppo si è spezzato, la diciannovesima tappa del Giro d’Italia aveva iniziato a prendere le sembianze del tappone che avremmo ricordato a lungo, talmente a lungo da poter diventare indimenticabile. Ci sarebbe stato facile ricordare dove eravamo e cosa stavamo facendo, a chi volevamo bene, quale torto altrui non potevamo dimenticare in quel momento. È stato un attimo, un attimo meraviglioso. Poi tutto è scemato. Ben Healy non ha insistito, Thibaut Pinot neppure, il gruppo è rientrato e ha iniziata l’attesa.

Non c’è da biasimarli i corridori. Di strada ne hanno percorsa parecchia, di metri di dislivello ne hanno superati a bizzeffe, non tutti necessari tra l’altro. Pioggia e freddo hanno fatto ballare i loro denti a lungo, il Covid ha rimandato a casa in tanti, pure Remco Evenepoel. Difficile pensare di fare corsa matta a due giorni dalla fine del Giro d’Italia. Però è stato bello, affascinante crederci, anche se solo per pochi minuti.

Poco male. Mentre la fuga cercava di infuturarsi e non farsi riprendere, animata per l’ennesima volta dal canadese Derek Gee – che con oggi ha superato i mille chilometri avanti al gruppo –, mentre il gruppo la inseguiva, passava accanto ai corridori uno tra i più bei spettacoli di cime e boschi e valle che l’Italia e l’Europa può offrire. Le tappe dolomitiche vale la pena di vederle anche solo per i fondali.

Sotto le Tre cime di Lavaredo, davanti al rifugio Auronzo, per primo è arrivato Santiago Buitrago, al termine di un lungo e paziente inseguimento allo stesso Derek Gee, piantatosi sui pedali quando all'arrivo mancavano millecinquecento metri. Sono una mazzata millecinquecento metri al dodici-tredici per cento di pendenza media. Prima i due si erano liberati da tutti gli altri compagni d'avventura: Magnus Cort Nielsen, Davide Gabburo, Vadim Pronskiy, Patrick Konrad, Carlos Verona, Michael Hepburn, Stefano Oldani, Nicolas Prodhomme e Larry Warbasse.

Il gruppo ha lasciato fare, ha atteso a lungo. C'era poco da fare gli incendiari. Un po' perché né Primoz Roglic, né João Almeida, né tantomeno Geraint Thomas lo sono. Soprattutto perché di secondi tra i primi tre ne ballavano pochi, la Ineos Grenadiers è uno squadrone che intimorisce e non è da tutti voler rischiare di non salire sul podio per arrivare in cima a quel podio. Soprattutto con una cronoscalata che per i polpacci è tagliente come un coltello di Spagna, o di Maniago, per vicinanza geografica.

Primoz Roglic ci ha provato. A milletrecento metri dal traguardo si è alzato sui pedali, ha dato una botta, ha visto alle sue spalle ciò che non voleva vedere: la maglia rosa di Geraint Thomas. Poco più indietro João Almeida faceva quello che sa fare meglio: pazientare, non scomporsi, inseguire, rientrare.

Geraint Thomas ci ha provato. E ci è riuscito. Anche se così non sembrava. Oltre i duemila metri, con certe pendenze però tutto cambia, si fa incerto. E le certezze crollano. Thomas aveva staccato Roglic, poi Roglic ha ristaccato Thomas. In totale pochi secondi, che rimandano a domani ogni giudizio definitivo. Anche perché anche oggi João Almeida si è staccato, ma non di tanto e di secondi tra loro ne girano pochi: Thomas ha 26 secondi di vantaggio su Roglic e 59 su Almeida.

 

L'ordine d'arrivo della 19a tappa del Giro d'Italia

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