Foto LaPresse

Il Foglio sportivo

C'è anche chi chiede “ah, ma c'è il Giro?”

Giovanni Battistuzzi

C’era un tempo nel quale la corsa rosa era festa popolare, ora è festa solo dove arriva

Le facce virano allo stupore. “Ah ma c’è il Giro?”. C’è anche una variante, più pessimista: “Corrono ancora il Giro?”. Basta una bicicletta, a volte solo una casquette – che a farla ben più semplice basta dire cappellino da ciclismo – e poi una mezza frase, la risposta a una domanda posta da qualcuno sulla tappa in luoghi lontani dal passaggio dei corridori. Perché c’è ancora chi il Giro d’Italia lo segue, anzi gli appassionati sono pure in crescita a sentire quelli che sanno leggere i numeri di vendite, social, audience. Ci sono sempre più donne e uomini che sanno chi è Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard, Mathieu van der Poel, Wout van Aert, Remco Evenepoel, la bella nouvelle vague del ciclismo di questi anni. Eppure “ah ma c’è il Giro?”…

È da anni che questa domanda la si sente, non è certo una novità di questi giorni. Ora gira più spesso solo perché Remco Evenepoel ha abbandonato il Giro d’Italia a causa della positività al Covid. E il Covid è ancora in mezzo a tutti, nella mente di tutti. Ci sono cose che non si dimenticano facilmente, figurarsi una pandemia. Anche quando l’emergenza è finita, soprattutto quando l’emergenza è finita, perché si pensava, si sperava, di esserne fuori definitivamente.

Prima, anni e anni prima di questi anni, una domanda del genere era quasi impensabile poterla sentire. C’era nessuno che l’avrebbe fatta, soprattutto perché non c’era bisogno di farla. Le radio parlavano del Giro, i giornali parlavano del Giro, i vecchi e i giovani al bar parlavano del Giro e pure la celeberrima casalinga di Voghera, in un modo o nell’altro, sapeva che c’era il Giro. E poco importa se non sapeva se in maglia rosa c’era Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Francesco Moser o Bernard Hinault, ma sapeva chi erano questi qui. La maggior parte delle casalinghe di Voghera, dei professori di Ferrara, delle mondine di Vercelli, dei contadini delle Puglie, delle sarte di Milano sapevano benissimo dare una collocazione temporale al Giro d’Italia. Sapevano quanto meno che ci fosse, che i corridori stessero pedalando da qualche parte in Italia.

Era una festa italiana il Giro d’Italia. Anche nei luoghi dove il Giro non passava. Ora è sempre una bella festa, ma quasi soltanto dove passa. Che di gente che è scesa di casa per vederlo passare ce ne era parecchia, sia col sole (in verità non molto) che con la pioggia.

A vederlo in tv il Giro, a intercettarlo sulle strade nelle quali passa, non si capisce il motivo di tutte queste domande, di tutto questo stupore. “Ah ma c’è il Giro?”.

A vederlo in tv, a intercettarlo sulle strade si rivede ancora quella passione enorme che il Giro, il ciclismo, riesce ancora ad attrarre. Certo forse in maniera leggermente minore di quando eravamo piccoli, di quando in gruppo c’era ancora Marco Pantani, però ancora vivo, animato, appassionante. Come le corse di questi anni, come i protagonisti che le animano.

Ah ma c’è il Giro?”.

C’è, c’è. Solo che non lo sanno tutti. È diventato qualcos’altro rispetto a quello che era: un appuntamento condiviso se non da tutti, dai più. È diventato il momento di festa per amanti della bicicletta e dello sport in generale, non più una grande festa paesana itinerante. Ma c’è ancora, lotta, resiste, prova a ricostruirsi un suo spazio, il più ampio possibile.
Certo gli anni neri del ciclismo, quelli del doping dilagante, degli scandali più o meno gravi sparati a furia di titoloni e cattiveria dai media per solleticare il nostro desiderio di indignazione, hanno incrinato il rapporto tra i più e il ciclismo, hanno soprattutto lasciato strascichi. Allo stesso modo della tendenza, per verità non solo italiana, della debordante presenza del sentimento nazionale, nazionalistico, nello sport, quel desiderio di vedere vincere per forza un connazionale supera spesso lo stesso piacere di vedere uno sport. Tendenza amplificata da una buona parte dei mass media per i quali molte volte, senza la vittoria di un italiano, la bellezza, a volte debordante – come in questi anni più di una volta è accaduto –, di una corsa è un po’ meno bella, senz’altro molto meno notiziabile. Non va così in Francia, non va così in Belgio e nei Paesi Bassi. Tutti luoghi che competevano con l’Italia per passione ciclistica.

Il Giro continua, gli “ah ma c’è il Giro?” continueranno, l’addio di Remco Evenepoel è riuscito a moltiplicarli. E non è detto che sia un problema.