Erling Haaland esulta dopo il quinto gol realizzato contro il Lipsia (foto Ap, via LaPresse)

Champions League

Erling Haaland è la realizzazione dei sogni di chi gioca ai videogiochi di calcio

Giovanni Battistuzzi

Contro il Lipsia, in Champions League, l'attaccante del Manchester City ha segnato cinque gol dei sette fatti dagli inglesi. C'era un tempo nel quale, per avere un giocatore come lui, i videogamer "pimpavano" giocatori immaginari

Quando si fanno sette gol in una partita viene sempre il dubbio se il motivo di un divario così ampio sia da attribuire alla forza della squadra vincente o ai demeriti di chi tutte queste reti le ha subite. Molte volte, quasi sempre, è un concatenarsi di circostanze, un incastro perfetto tra bravura ed eccitazione di chi segna, difetti e demoralizzazione di chi subisce. Perché se sulla carta non ci sono sette gol di differenza tra Manchester City e Lipsia, sul campo, in Champions League, sette gol ci sono stati, c’è stato soprattutto un divario enorme, imbarazzante tra le due squadre. Imbarazzante, per superiorità, tanto quanto la partita giocata da Erling Haaland: cinque gol, altrettanti salvati in qualche modo da una difesa, quella marchiata Red Bull, in evidente stato di confusione, quasi impaurita, nel dover contrastare il norvegese. Delle cinque reti segnate una è arrivata su rigore, quattro su rimpallo. Per i tifosi, però, i gol della propria squadra del cuore sono (quasi) tutti uguali, che siano stupendi o “di rapina” non importa. Non fosse così, un centravanti come Pippo Inzaghi non sarebbe stato amato.

   

Di attaccanti che hanno segnato tanto ce ne sono stati molti nella storia, più o meno recente, del calcio. Alcuni di questi sapevano soltanto (o quasi) fare gol: non erano virtuosi della giocata, non si prodigavano in dribbling, gravitavano nell’area di rigore e lì anticipavano sempre difensori che erano consapevoli di questa attitudine, ma comunque non riuscivano a trovare rimedio. Erling Haaland segna come loro, come i Pippo Inzaghi o i Gerd Müller dei tempi che furono, ma non assomiglia a loro. È grande, grosso, veloce, bravo con il pallone e a capire dove questo andrà. Rappresenta tutto ciò che generazioni di calciofili da divano e joypad hanno sempre sognato. E a volte hanno realizzato, a modo loro, “pimpando” campioni o ragazzi di buone speranze, oppure inventando da zero nome il proprio giocatore “irreale” per vedere l’effetto che fa giocare con un “mostro” in attacco.

   

Florian Gabetto ha trentacinque anni e prima di laurearsi in meccatronica e trovare lavoro come data analyst per una delle più importanti aziende che elaborano big data legati al calcio è stato per qualche anno un videogamer professionista. “Quando ho lavorato per un’azienda che collaborava con il team di sviluppo che si occupava di Pro Evolution Soccer, ho potuto constatare come tra i ‘forti videogiocatori offline’, ossia quella fascia di utenti che gioca almeno una ventina di ore a settimana, esistesse una tendenza alla ‘creazione da zero’ dei calciatori. Una parte di questi erano legati alla genesi di giocatori storici, campioni del passato. La maggior parte però generava giocatori inesistenti, da poter utilizzare nelle sezioni Master League ecc. Nella maggioranza dei casi i giocatori erano simili: alti, fisicamente imponenti, veloci, dal buon tiro”, dice Gabetto, che aggiunge: “In pratica Erling Haaland. Perché prima ancora che Haaland apparisse nei database dei videogiochi, chi amava il ‘pimpaggio’ dei giocatori già sognava un attaccante come lui”. Per ora se lo gode Guardiola e chi sceglie il City nella realtà non del tutto reale dei videogiochi calcistici. Norvegesi a parte, è difficile credere che qualcuno scelga la Norvegia.