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L'Italia del rugby merita stima e fiducia (e una sistemata in difesa)

Alessandro Ferri

Contro l'Irlanda gli Azzurri hanno giocato una partita ottima, a tal punto che il 20-34 (contro i migliori al mondo) è apparso un risultato quasi ingeneroso

Può questa nazionale, che al giro di boa del Sei Nazioni è ancora a quota zero vittorie, essere considerata la più forte degli ultimi dieci anni?

Sì.

Sabato all’Olimpico gli Azzurri sono stati in partita fino all’ultimo, e non contro un avversario qualunque. Di fronte a Lamaro e compagni c’era l’Irlanda, la numero 1 del ranking mondiale, quella che ha vinto la serie in Nuova Zelanda contro gli All Blacks, che mai erano usciti sconfitti in una gara a tre in casa, e che due settimane fa ha interrotto la striscia di vittorie della Francia che durava da quattordici partite, da più di un anno.

E diciamolo, per rendere giustizia a una squadra che ha dimostrato carattere (ma quello lo fa sempre) e capacità: il 20-34 finale è un risultato anche ingeneroso per l’Italia, per certi versi.

Il discorso è molto semplice: è arrivato il momento, dopo sei, sette, dieci ottime prestazioni consecutive, che la nazionale italiana dimostri di valere al 100% le belle cose che fa vedere per larghi tratti ogni volta in cui scende in campo.

Contro l’Irlanda l’attacco ha lavorato incredibilmente bene, in modo dinamico, aggressivo, innovativo. C’è stata un’azione in cui, con la palla dentro i 5 metri, si è deciso di non calciare, ma di giocare alla mano e risalire il campo, che è una cosa da rugby Seven, più che da rugby a 15, a riprova del fatto che i quindici giocatori in campo e gli otto in panchina, sanno quali mezzi hanno e vogliono farli vedere, anche con quel pizzico di spavalderia che ogni tanto serve. Merito anche di alcune scelte tattiche che hanno pagato, almeno per quanto riguarda il reparto offensivo: il ritorno di Garbisi offre all’Italia l’esplosività di un giocatore che era già forte quando giocava a Treviso, ma che oggi è maturato, eccome, a Montpellier. Impossibile paragonarlo ad Allan: interpretano il ruolo in modo troppo diverso e hanno sette anni di differenza, ma Paolo ha meno rigore tattico e più fantasia di Tommaso, meno stabilità e più potenza. Forse la cosa che serviva di più a questo gruppo era il suo ritorno da un infortunio che lo ha tenuto fuori e che ha costretto Allan a fare gli straordinari: l’apertura ha giocato titolare contro la Francia, titolare contro l’Inghilterra, titolare domenica scorsa contro Gloucester (perché sia mai che il wonderkid della nazionale inglese, oggi tornato sostituto di Owen Farrell, Marcus Smith, giochi titolare con gli Harlequins durante il Sei Nazioni). Altra bella intuizione di Kieran Crowley è stata lo spostamento di Tommaso Menoncello come primo centro. Il ventenne è tornato nel ruolo in cui gioca anche a Treviso, dopo essere stato all’ala per tanto tempo in nazionale. E i dati danno ragione a questa scelta: Menoncello è infatti il trequarti azzurro che ha fatto più placcaggi, 12, in una partita in cui la difesa non ha funzionato alla grande.

E qui veniamo alle note dolenti: Andy Farrell venerdì ha dovuto cambiare la formazione dell’Irlanda, togliendo Ringrose, infortunato, e rimediando, inserendo McCloskey come primo centro e spostando Bundee Aki a secondo centro. Mai scelta fu più giusta: Aki secondo centro è una benedizione per l’Irlanda anche in ottica Coppa del Mondo. Difficile che non diventi una modifica definitiva. Posto questo, posto il livello enorme dell’Irlanda, l’Italia ha mostrato grandi fragilità difensive, che, specie nel primo tempo hanno permesso all’Irlanda di arrivare in meta con una facilità disarmante. Solo la meta di Pierre Bruno, con un bellissimo intercetto a fine primo tempo ha evitato il peggio e ha ridato animo agli azzurri, ma bisognerà lavorare tanto per fare quel salto di qualità che oggi forse è necessario, perché è il momento giusto. È su questi presupposti che Marius Goosen, l’allenatore della difesa italiana, dovrà basare il lavoro in vista della partita casalinga dell’11 marzo con il Galles. Una partita che oggi tifosi, giornalisti, giocatori, sanno di poter vincer, se si scende in campo con questa grinta e con meno problemi difensivi.

Ci sono poi dettagli da limare: un calcio sbagliato, una touche regalata agli avversari, un fallo commesso in una mischia nei 5 metri avversari, un in avanti di troppo… sono errori che alla fine pesano e che però testimoniano una fragilità incidentale e non sistemica.

Insomma, per sintetizzare al massimo il discorso intorno a un’Italia-Irlanda che ricorderemo nei prossimi anni, rubiamo le parole alle chiacchiere informali con alcuni giocatori in Zona Mista dopo la partita: con questo attacco qui, giocando in questo modo, puoi vincere contro chiunque, ma difendendo così no. Però l’aria sembra davvero cambiata.

Per vincere, citando capitan Michele Lamaro, basta fare un punto in più dell’avversario.

Che è inoppugnabile, ma non facile.

PS: nessun commento sulla direzione di gara dello scozzese Mike Adamson, perché è indelicato farlo, però ecco, chiederei ad Ange Capuozzo se ha mal di testa, dopo i tre placcaggi al collo non visti o sottosanzionati nel corso della partita. Così, per dire eh, mica per far polemica. Sia mai.