qatar 2022
Argentina-Francia sarà davvero l'uomo della Provvidenza contro un collettivo di campioni?
Per agguantare una coppa che manca da 36 anni a Buenos Aires l'Albiceleste spera in Lionel Messi. Attorno a lui però si muove una squadra affiatata. Spunti per evitare la retorica del passato prima della finale dei Mondiali
Uno contro tutti. Anzi: uno contro tutti, più uno. Così raccontano la finale mondiale tra Argentina e Francia: l’uomo della Provvidenza e un collettivo di campioni, tra i quali un giovane primus inter pares che rischia due titoli iridati a 24 anni. Ma è davvero così?
Di due universi tanto nazionalisti, le comunità argentine a Doha e in patria stanno dando la sensazione di volere questa coppa più dei campioni uscenti: un’ossessione dopo 36 anni di attesa, a fronte di appena quattro. Sono tanti, e stavolta Diego non c’è più. Lo dicono i cori, che assemblano al fatto sportivo (gli sfottò ai brasiliani, rivali di sempre) il revanscismo delle Falkland/Malvinas: come volersi riappropriare della Gioconda per aver vinto ai rigori nel 2006.
I francesi, appunto: tanti protagonisti della campagna di Russia sono ancora titolari – Hugo Lloris, Raphaël Varane, Antoine Griezmann, Ousmane Dembélé, Kylian Mbappé, Olivier Giroud – mentre sono rimasti nel giro Benjamin Pavard e Lucas Hernandez. Persino l’intera batteria dei portieri è immutata. Di là dell’Atlantico, due soli nomi ricorrono dallo sfortunato tentativo di vincere il torneo in Brasile nel 2014: Lionel Messi e Ángel di María. Con il secondo quasi sempre fuori uso, il sogno di un paese pare aggrapparsi alla Pulce, unico superstite di quella rosa che allora meritava di vincere la finale. Al Maracanã non dimenticano gli errori decisivi di Gonzalo Higuaín, di Rodrigo Palacio e dello stesso Messi in diagonale, ma soprattutto la partita abulica del 10, un pulcino bagnato lungo tutto il match, smarrito come nell’8-2 del Bayern Monaco al Barcelona.
In Medio Oriente qualcosa pare cambiato: e non era affatto scontato che accadesse. Prima inquieto e anche rassegnato, entrato nel 36esimo anno – gli stessi senza la Coppa del Mondo, dieci più di quanti ne aveva Diego Maradona quanto la vinse – Lionel è la forza tranquilla (curiosamente, distico di derivazione elettorale francese), tanto speciale quando porta a spasso Joško Gvardiol usando solo il sinistro, quanto normal one da uomo solo al comando. Alle doti messi-aniche credono più i tifosi che non lui stesso, mentre sente addosso tutti gli ooh al primo tocco di palla. Eppure l’uomo che ha ringhiato a Louis van Gaal è lontano parente di quello indisegnabile, poco iconografico e sempre sofferente nel paragone con l’illustre predecessore, pezzo unico in opposizione alla serialità blaugrana dell’erede.
Eccolo, l’Uno: l’Argentina si abbandona volentieri al deus ex machina, non solo nel calcio. Da là vengono Juan Domingo Perón e Jorge Mario Bergoglio, le cui preghiere da tifoso del San Lorenzo de Almagro dovrebbero sortire miglior effetto di quelle del D10S sugli spalti di Kazan. Dal canto suo, la selezione di Didier Deschamps esalta i singoli all’interno di un gruppo omogeneo, senza dislivelli né plausibili increspature tra etnie, società di club, età differenti. Una filosofia di stato che ha dovuto riscontrare l’inedita concorrenza interna del Marocco, sospesa tra retaggio coloniale e crossover di generazioni, ma che sa esaltarsi nell’École National d’Administration applicata al calcio: nessuno da cercare e servire con priorità, l’asso è “solo” il quid in più.
Tutti, più uno: ma cosa succede quando, nelle quattro settimane in Qatar, i biancocelesti cementano il gruppo come nel Novanta? Anche allora, più che nel leggendario ‘86, tutto pareva poggiare sopra l’Uno. Ma in finale arrivarono anche un portierone pararigori, difensori che non andavano tanto per il sottile e geometri specializzati, proprio come oggi. Rischiarono di vincere per un rigore non dato, persero per un rigore inesistente: la storia si è incaricata di dire che non erano il giocattolo personale di Diego. Allo stesso modo, vinca o perda, la Scaloneta con il convincente Julián Álvarez non sarebbe giusto passasse alla storia quale mera appendice di Messi.
Di là del campo, è possibile derubricare a “funzione” la volata di Mbappé, che ha schiantato in velocità tutta la fascia destra del Marocco in una sola azione? Capace di determinare psicologicamente come un goal, ineluttabile al pari delle perle maradoniane nella consapevolezza di compagni e avversari. Tra affidamento e organizzazione, fatalismo e costruzione, è la prima complessità che la partita dovrà sbrogliare, affinché il pallone decida a quale continente destinare la Coppa.
sotto la tour eiffel