ricordi mondiali

 Dieci cose toste da ricordare di Qatar 2022

 Giuseppe Pastore

Dal silenzio iraniano all’Arabia Meccanica. La disperazione di Lukaku e le lacrime di Neymar e Cristiano. Così il Mondiale più sporco e corrotto è diventato uno dei più belli

Il Mondiale più sporco, corrotto e controverso di sempre ha prodotto, per puro gusto calcistico del paradosso, la finale più giusta. La finale più incerta dall’epoca di Italia-Francia 2006, la finale più affascinante forse dai tempi di Francia-Brasile 1998, poi rovinata dal malore pomeridiano di Ronaldo. Abbiamo il dominatore degli ultimi 15 anni e quello dei prossimi 10 anni, un numero 9 vecchio stile (Giroud) e uno che viene dal futuro (Álvarez), attori non protagonisti a iosa da Hernandez a Fernandez.

 

Il Mondiale dicembrino dagli ascolti altissimi anche senza l'Italia, approcciato inizialmente con il tipico snobismo del Vecchio Continente (“Come fai a giocare un Mondiale in inverno?”), glissando sul fatto che oggi a Buenos Aires ci sono 31 gradi: e invece molti giocatori hanno apprezzato, le partite sono state combattute, i cinque cambi e i maxi-recuperi hanno tenuto alta la tensione fino al 99'. Uno dei pochissimi Mondiali letteralmente mondiali, con tre continenti in semifinale e una serie di novità positive arrivate tutte da fuori Europa: la maturità tattica dell'Africa, l'intensità dell'Asia, il riscatto del calcio arabo, la modernità cosmopolita di Stati Uniti, Canada e Australia. Ecco i dieci fatti, personaggi, immagini che ricorderemo di Qatar 2022.
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1) Far West. L’irrilevanza delle proteste occidentali, poche e disorganizzate, niente più che lacrime di coccodrillo versate su un Mondiale comprato nel lontano 2010, di cui in Qatar probabilmente conservano ancora lo scontrino. I temi erano più che nobili, dalle morti sul lavoro alla discriminazione di una lunga serie di minoranze, ma cavalcati con faciloneria e sensazionalismo, retrocedendo un po’ penosamente alla minaccia ventilata dalla Fifa di ammonire i capitani che vestissero la fascia arcobaleno. La soluzione escogitata dai tedeschi – la foto di gruppo con la mano sulla bocca a mo’ di bavaglio – è presto volata via col vento. Molto più coraggioso e sentito il silenzio orgoglioso dei calciatori iraniani sull’inno nazionale, durato purtroppo una sola partita.

2) Arabia Meccanica. Il grande choc tattico, tecnico e culturale della prima fase: Argentina-Arabia Saudita 1-2. Non solo il cosa, ma il come: una strategia senza rete di probabile ispirazione zemaniana, con tre gol annullati in mezz’ora a Messi e Lautaro Martinez dall’implacabile Fuorigioco Automatico della difesa saudita. Per qualche giorno il divo del Mondiale è stato Hervé Renard (in francese renard = volpe), personaggio dalle vicende umane pirotecniche. Una delle più grandi sorprese della storia dei Mondiali, senza dubbio: a maggior ragione in un calcio in cui la componente di mistero si è notevolmente assottigliata, e credevamo ormai di aver visto tutto.

3) Cold Var. Dal punto di vista arbitrale è stato un Mondiale mediocre, nell'unico ambito in cui regge ancora la superiorità europea sul resto del pianeta. Almeno due i momenti indecorosi e inaccettabili in epoca Var: gli errori in Belgio-Canada dello zambiano Sikazwe, prontamente rimosso, sotto gli occhi di un atterrito Collina; il papocchio della squadra arbitrale capitanata dal neozelandese Conger in Tunisia-Francia 1-0, con il gol del pareggio di Griezmann annullato per motivi misteriosi e l'on-field review avvenuta fuori tempo massimo. C'erano gli estremi per l'errore tecnico: per qualche ora la Fifa ha tenuto il fiato sospeso, aleggiava il rischio di un precedente devastante, ma poi la Francia ha lasciato perdere.

4) Triste, solitario y Luis. L'asticella alzata sempre più in alto da Luis Enrique, nelle convocazioni, nel modo di giocare senza compromessi della Spagna, nella disintegrazione dei rapporti con i giornalisti, nelle dirompenti dirette su Twitch: asticella contro cui il ruvido Lucho è andato fatalmente a schiantarsi agli ottavi, e tutta la Selección con lui. Troppo giovani? Troppo leggeri? Troppo arroganti, nella programmatica assenza di un piano B di fronte alle prevedibili barricate avversarie? La Spagna ha illuso il Mondiale per 180 minuti, poi è franata in una settimana contro Giappone e Marocco e, come spesso avviene a queste latitudini, il ct è stato lapidato dalla stampa: specialmente quella della capitale, che non gli ha perdonato una certa freddezza verso il Real Madrid.

5) Bad day. L'incredibile secondo tempo di Romelu Lukaku contro la Croazia, una contro-prestazione di cui non abbiamo trovato tracce nei nostri pur fornitissimi annali. Almeno due errori marchiani più un terzo gol fallito, di testa a porta vuota, che sarebbe stato annullato. La sensazione che il corpo, la testa, le stelle, che tutto in quel momento fosse contro di lui. E comunque Big Rom le occasioni se l'era create, come unico terminale offensivo credibile di un Belgio insopportabile, noioso persino nelle liti da spogliatoio. L'attesissimo De Bruyne, in rapporto al valore e alle aspettative, è probabilmente il peggior giocatore di Qatar 2022.

6) 100:29. Il minuto dei tempi regolamentari in cui l’Olanda di van Gaal ha avuto il fegato di eseguire uno schema rischiosissimo su punizione dal limite contro l’Argentina, Koopmeiners per Weghorst, all’ultima possibilità per pareggiare la partita. Di più: il fatto che lo schema sia riuscito. Il momento drammatico-sportivo più alto del Mondiale, solo in parte macchiato da una gazzarra finale ampiamente comprensibile: olandesi contro argentini contemporaneamente al loro meglio e al loro peggio, vizio e virtù, l’illusione che ogni tanto il calcio per nazionali sappia ancora ritrovare e rimettere in scena valori e sapori identitari un po’ annacquati dal villaggio globale.

7) Lacrime senza pioggia. Nel Mondiale più asciutto di sempre, di sincero dolore quelle di Neymar, che non è riuscito nemmeno a tirare il (quinto) rigore contro la Croazia, spietata e sardonica nell’annullare 115 minuti di superiorità verdeoro con un contropiede magistrale orchestrato dal sommo Modric. Di pura frustrazione quelle di Cristiano Ronaldo, che ha visto esaurirsi la sabbia nella clessidra senza poterci far nulla: in 40 minuti contro il Marocco ha toccato appena una decina di palloni senza lasciare traccia, e quel che è peggio ha dovuto assistere al suo arcinemico che disegnava per sé stesso il Mondiale perfetto, quello che avrebbe tanto desiderato vivere lui.

8) Altrimenti ci Amrabat. Lancio lungo del portiere, prima spizzata di Amdallah, seconda spizzata di Aboukhlal, palla a Ziyech che ubriaca Castagne e mette la palla sul destro ancora di Aboukhlal che fulmina sul primo palo il miglior portiere del mondo, nei minuti finali di Belgio-Marocco. Chi, per riferirsi alla squadra di Regragui, collettivo che per intensità e applicazione tattica è stata la Nazionale più simile all’Atletico Madrid di Simeone (parlandone da vivo), ha usato il termine “catenaccio”, non sa di cosa sta parlando.

9) Il Piccolo Diavolo. Va bene, nelle sue prime tre partite Mbappé ha avuto sprazzi di calcio provenienti da un’altra galassia, ma non ammettiamo discussioni: l’Mvp della Francia 2022 è stato Antoine Griezmann, l’uomo che più di tutti si è divertito a sporcarsi le mani nella battaglia, nella lotta e nel governo, sfoderando assist magnifici (a Mbappé contro la Danimarca, a Giroud contro l’Inghilterra) ma anche facendosi trovare a difendere sul limite dell’area piccola, nel momento del bisogno. Mondiale di duttilità e intelligenza spaziale che fa brillare di riflesso la saggezza di Didier Deschamps, che al di là del caso fortunato di Theo Hernandez (titolare dopo l’infortunio di suo fratello) in Qatar non ha sbagliato una mossa.

10) Tanta voglia di Leo. Il 10 lo merita il 10: Lionel Messi, non più oggetto ma soggetto del Mondiale. Nel 2014 era approdato all’appuntamento finale al Maracanà quasi a spinta, senza più benzina, divorato dalla tensione e dell’ansia infusagli da un ambiente e da uno spogliatoio aggrappati a lui come una zattera di naufraghi. Adesso ci arriva da condottiero vero, in crescendo, spalleggiato da un gruppo di scudieri che sono sì ai suoi piedi, ma molto più convinti, determinati e proattivi, come sono da sempre le Argentine più memorabili. L’azione del 3-0 alla Croazia, in cui ha mandato ai matti colui che era stato fin lì il miglior difensore del torneo (Gvardiol), mette già l’acquolina in bocca per l’ultimo atto. 26esima e ultima partita mondiale in carriera, nessuno come lui: le condizioni ideali per un gran finale.

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