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Quando il più forte giocatore al mondo giocava nel Marocco (ma scelse la Francia)

Giovanni Battistuzzi

Ai Mondiali si gioca Francia-Marocco, la partita di Larbi Ben Barek: era la Perla Nera prima di Pelé ed Eusebio. Storia del “calciatore sublime” che fece innamorare Francia e Spagna partendo da Casablanca

Quel giorno, quel 12 giugno del 1938, una buona parte, forse la maggioranza, di chi stava sulle tribune dello Stade municipal Paul-Pantaloni di Annaba, Algeria, iniziò a disinteressarsi alla partita. Gli occhi non seguirono più il pallone, ma si concentrarono su un uomo soltanto. Il resto era diventato superfluo, anche il tifo calcistico. E sì che quella partita non era di secondo ordine, ma la finale del Championnat d’Afrique du Nord (una sorta di Champions League ante litteram tra i campionati del Protettorato francese del Marocco, quello della Tunisia, il Dipartimento di Algeri, quello di Orano, quello di Costantino) tra la JBAC Bône di Annaba e l’US Marocaine di Casablanca. “Gli sguardi seguivano ammaliati il numero dieci dei marocchini (US Marocaine, ndr), increduli che tanta grazia potesse essere contenuta in un uomo così alto e così grosso, ma che correva con la leggerezza di un ballerino. Caro Louis già allora ero consapevole che un calciatore così forte non l’avrei mai più visto”. Era il 1954 quando Albert Camus scrisse questo all’amico architetto Louis-Charles-Victor Miquel. Lo scrittore era a Marsiglia, il giorno precedente allo stadio Vélodrome aveva visto giocare nell’Olympique Marsiglia quel giocatore del quale si era invaghito da giovane: Larbi Ben Barek, la Perla nera.

 

Perché prima della Pérola Negra brasiliana, Pelé, di quella portoghese, Eusebio, c’era stata la Perle noire, l’uomo che “se io sono il Re del calcio, Ben Barek è il Dio”, disse O’Rey nel 1976. Perché Larbi Ben Barek era stato un “calciatore sublime”, scrisse di lui Gabriel Hanot (il padre del Pallone d’oro) sul Miroir des Sports. Argomentò: “E’ una mezzala che difende come un centromediano, ha lo scatto dell’ala, il tiro e lo spunto del centrattacco, la forza di un terzino. Ritenevo impossibile trovare la perfezione del calcio in un sol giocatore. E’ molto appagante, guardando giocare Larbi Benbarek (in Francia il cognome era tutto attaccato, ndr), accorgersi di aver sbagliato”.

 

Larbi Ben Barek era nato a Tata in un’oasi a trecento chilometri a sud-est di Agadir, Marocco, s’era ritrovato per fame a Casablanca e per fame aveva iniziato a giocare a pallone. Nel frattempo faceva il falegname. Fu lavorando col legno che imparò la geometria. L’applicò al calcio. Mario Zatelli, suo compagno di squadra all’US Marocaine (poi allenatore del primo grande OM, quello dei due campionati vinti nei primissimi anni Settanta) disse che “Larbi ragionava per triangoli. Quando non vedeva i suoi compagni diventare vertici di un triangolo allora faceva da lui: una finta, un dribbling e tanti saluti agli avversari. Aveva un dribbling elegante ed efficacissimo”.

 

Segnò tanto Larbi Ben Barek, ma meno di quello che avrebbe potuto, perché non per il gol viveva la Perla nera, ma per l’ultimo passaggio, quello decisivo. Allo Stade Français, squadra di Parigi, il presidente infatti dava premi in denaro per chi faceva l’assist, convinto che premiare economicamente chi segnava avrebbe creato problemi al gioco di squadra. In 103 partite segnò 56 gol e offrì 78 passaggi decisivi. Uno dei suoi allenatori, un certo Helenio Herrera, di lui disse: “Benbarek era la classe. Non ho mai allenato nessuno del suo talento. Solo Suárez (Luisito, ndr) gli era superiore per visione di gioco, per il resto non c’era confronto”.

 

Non perse il vizio dell’assist nemmeno nelle cinque stagioni che giocò con l’Atletico Madrid tra il 1948 e il 1953. Anche lì il presidente concedeva un premio a ogni assist. E a Larbi Ben Barek c’era solo una cosa che piaceva più del calcio: i soldi. Per soldi non per gloria salutò l’US Marocaine nel 1938, per soldi ci tornò nel 1939: in Europa c’era la guerra, l’OM non pagava e lui di combattere non aveva nessuna voglia. Per soldi tra il 1941 e 1943 si divise tra erba e parquet (in realtà cemento) e oltre a pallone giocò a basket al Wydad AC. E per soldi preferì la Nazionale della Francia a quella del Marocco. Chissà per chi avrebbe fatto il tifo oggi nella semifinale dei Mondiali 2022. “Sono un calciatore, i francesi mi pagano di più. Perché dovrei giocare gratis? Di grandi calciatori ce ne sono pochi, ancor meno dei grandi medici. Se un professore di fama viene pagato tanto perché un calciatore non dovrebbe prendere di più?”.