Alireza Beiranvand esce in barella dopo uno scontro di gioco durante Inghilterra-Iran finita 6-2 (LaPresse) 

Qatar 2022 - facce da mondiale

Le infinite vite di Alireza Beiranvand, illusione iraniana

Andrea Romano

È stato pastore, clochard, operaio, lavamacchine, cameriere, spazzino, prima di diventare portiere quasi per caso. Quattro anni fa in Russia parò un rigore a Cr7, oggi il suo volto insanguinato nella partita contro l'Inghilterra è già diventata un simbolo di questa Coppa del mondo

Alireza Beiranvand ha appena trent’anni ma ha già vissuto un’infinità di vite diverse. È stato pastore, clochard, operaio, lavamacchine, cameriere, spazzino. Eppure lui si è sempre sentito un portiere. Un’identità che per anni ha dovuto nascondere a tutti, soprattutto a suo padre. I suoi genitori sono nomadi, si muovono nella parte occidentale dell’Iran alla ricerca di prati da far brucare alle loro pecore. È un lavoro che rende poco e che in cambio chiede sacrifici enormi. Fino a diventare condanna ineluttabile, destino da tramandare di padre in figlio per generazioni. Per qualche tempo se ne convince anche Alireza. Poi quando il ragazzo compie 12 anni ecco che la famiglia si trasferisce a Sarabias. Ed è qui che inizia la sua guerra di indipendenza. Beiranvand prende ad allenarsi con una squadra locale. Il calcio non è più un passatempo, diventa una passione. Un giorno il portiere si fa male e l’allenatore ha un’intuizione. Chiama quel ragazzone allampanato che giocava in attacco e lo mette fra i pali. Piano piano tutto inizia ad acquistare senso. Alireza ha talento. Al punto che potrebbe sognare una vita diversa.

 

Così il ragazzo si decide a raccontare il suo sogno al padre. La reazione di Morteza è furibonda. L’uomo prende le forbici e taglia i guanti del ragazzo. Il mondo ha bisogno di pastori, non di portieri. In un attimo Beiranvand si ritrova incastrato in un verso di Cesare Pavese: "Vale la pena essere solo, per essere ancora più solo?". La risposta è scontata ma richiede coraggio. E una sera Alireza raccoglie le sue cose e scappa a Teheran. Dorme dove capita. Per strada, in una sala di preghiera, a casa di un compagno di squadra. Cambia un lavoro dopo l’altro, ma almeno continua a giocare. Un giorno mentre insapona il tettino di Suv in un autolavaggio vede scendere dalla macchina Ali Daei, il grande totem del calcio iraniano. Vuole chiedergli aiuto, ma è troppo timido per rivolgergli parola. La sua occasione arriverà comunque. Inizia del Naft Teheran, poi passa al Persepolis. E visto che quel ragazzo sgraziato di quasi due metri non passa inosservato, debutta anche in Nazionale.

 

Nel 2018 Alireza parte per i Mondiali. È il titolare della sua Nazionale. Prima di arrivare in Russia pubblica un video diventato più famigerato che famoso. Imitando una serie tv iraniana, Beiranvand si rivolge a Cristiano Ronaldo con la battuta: "Come va, Cris?". La stampa la considera una mancanza di rispetto, quasi un tentativo di farsi pubblicità. Intanto l’Iran batte il Marocco e perde di misura contro la Spagna di Hierro. Nell’ultima gara del girone incontra il Portogallo. I lusitani sono avanti 1-0 con gol di Quaresma quando guadagnano un calcio di rigore. Ronaldo sistema il pallone sul dischetto e alza la testa. Per un attimo Alireza si ritrova faccia a faccia con Ronaldo e ripensa quel video. "Come stai, ora, Cris?". Quando il portoghese calcia lui si butta d’istinto verso la sua sinistra. E respinge la sfera. In pieno recupero Ansarifard pareggia. È un gol inutile che scatena comunque la festa. Per una sera Alireza Beiranvand è l’eroe di una nazionale e di una Nazione. Forse addirittura anche di suo padre. Ma è una meteora che si spegne in fretta. Nessuno sente più parlare di lui. Fallisce all’Anversa. Fallisce al Boavista. Così torna al Persepolis, dove fiorisce un’altra volta.

 

Nel Mondiale in Qatar sperava di poter recitare ancora il ruolo di protagonista, ma si è dovuto accontentare di una comparsata. Dopo una manciata di minuti il portiere esce e si scontra con Majid Hosseini. Quando si rialza ha il naso spianato e le maglia zuppa di sangue. La telecamera indugia sul suo volto fino a trasformarlo nella faccia di questo Mondiale. I medici gli danno una maglietta pulita e gli tamponano l’emorragia. Alireza resta in campo qualche altro minuto. Giusto il tempo di calciare lungo e sentire la testa che gira. Si volta verso la panchina, chiede il cambio. Appena esce l’Iran viene travolto. Un gol dopo l’altro. E a tutti resta l’illusione che con Alireza in porta, forse, la storia sarebbe andata diversamente.