David Beckham (Ansa)

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A noi inglesi non manca nulla per vincere il Mondiale, c'è pure Beckham

 Jack O'Malley

L’ex capitano è ambasciatore del Qatar: quando il denaro fa straparlare più dell’alcol

Non so se alzeremo la Coppa del mondo alla fine (anzi, lo so), ma se c’è un premio per la Nazionale più cialtrona devo ammettere che dovrà essere consegnato all’Inghilterra. La manfrina dei diritti scoppiata come un missile della contraerea ucraina a pochi giorni dall’inizio del Mondiale ha fatto emergere tra noi inglesi più contraddizioni di un tweet di Riotta sulle fake news. Ci stiamo ridicolizzando a livello globale con un nostro ex capitano, David Beckham, che fa l’ambasciatore del Qatar e apparendo in video al festival giovanile "Generation Amazing” a Doha (figata, eh?) ha detto che la Coppa del Mondo sarà una piattaforma per il progresso, l’inclusività e la tolleranza e paragonato il comitato organizzatore qatariota che sognava di organizzare il Mondiale ai ragazzini che giocano nel cortile di casa sognando di fare i calciatori. Beckham è un tipico caso in cui i soldi fanno straparlare più dell’alcol. Io però mi tengo stretto l’alcol, il mio brandy e la mia bionda: ho bisogno di grandi scorte per sopportare le partite che iniziano e seguire la mia Nazionale, favorita ma non troppo. 

 

Il nostro girone è il classico girone da cui potremmo uscire con una figura di merda epocale, tra Iran, la colonia oltreoceano e i sottoposti gallesi. Già la spedizione è iniziata con i cammelli che fanno rumore di notte vicino al nostro albergo, ed è continuata con i più classici riferimenti al Mondiale del 1966, come a ogni Coppa del mondo. Ce la possiamo fare? Se faremo pesare di più il campo delle lezioni sui diritti, penso di sì. 
Ma insomma, dopo l’aereo con la coraggiosissima scritta “Rain bow” sulla fiancata per gridare forte a tutti che i diritti Lgbt sono sacri, la carnevalata della fascia arcobaleno al braccio di Harry Kane e il tentativo di fare ammazzare il capitano dell’Iran, Alireza Jahanbakhsh, facendogli domande sulle proteste di piazza nel suo paese e la repressione del regime, non restano molte cartucce. 

Chi è più forte di noi? Il Brasile, va detto per contratto, e la Francia, va detto così si gode di più quando perdono. Altre? Non certo il Portogallo di Cristiano Ronaldo, che ha scelto il suicidio assistito di un’intervista piena di goffo narcisismo a Piers Morgan per distruggere parte di quello che ha costruito in carriera: la verità è che CR7 è vecchio, e che il tempo non lo può riportare indietro nemmeno uno come lui, fare la parte dell’anziano del villaggio che dice che non è più il calcio di una volta e che gli altri gli mancano di rispetto lo fa passare di diritto tra gli ex calciatori. Ai tempi di Beckham Alex Ferguson disse che quando un giocatore si sente più importante del suo manager e del club è il momento di cederlo: Cristiano Ronaldo è arrivato esattamente a questo punto, e il Manchester United a gennaio dovrà venderlo per forza, o dimostrerà a tutti che lui ha ragione.

L’intervista alla vigilia di Qatar 2022 è un azzardo, adesso ogni gesto e ogni sguardo nello spogliatoio del Portogallo è letto come un segno di qualcosa che i giornalisti, nella loro pigrizia, hanno già deciso: persino la stretta di mano di Fernandes sui giornali è diventata “Fernandes che non stringe la mano a Ronaldo”. Che palle. Peggio di questo solo gli articoli sulla geopolitica del calcio che ci toccherà leggere nei prossimi giorni. Per Stati Uniti-Iran apriranno le gabbie dei commentatori. E io stapperò altre bottiglie per uscirne vivo.

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