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gran calma #9

La Juventus deve ancora capire cosa vuole essere

Enrico Veronese

Mentre in Serie A stanno crescendo alcuni grandi allenatori di domani, Allegri si trova alle prese con una squadra slabbrata, demotivata, senza un senso. I club intanto si fanno i conti in tasca e alcuni fanno fatica a esonerare

I risultati della 9a giornata di Serie A

Fiorentina-Lazio 0-4 11′ Vecino, 25′ Zaccagni, 85′ Luis Alberto, 91′ Immobile

Sassuolo-Inter 1-2 44′, 75′ Džeko (I), 60′ Frattesi
Milan-Juventus 2-0 45′ +1 Tomori, 54′ Brahim Díaz
Bologna-Sampdoria 1-1 32′ Domínguez, 72′ Djuričić (S)
Torino-Empoli 1-1 49′ Destro (E), 90′ Lukić
Monza-Spezia 2-0 32′ Carlos Augusto, 63′ Pablo Marí
Salernitana-Verona 2-1 18′ Piątek, 56′ Depaoli (V), 94′ Dia
Udinese-Atalanta 2-2 36′ Lookman (A), 56′ rig. Muriel (A), 67′ Deulofeu, 78′ Pérez
Cremonese-Napoli 1-4 26′ rig. Politano, 47′ Dessers (C), 76′ Simeone, 93′ Lozano, 95′ Mathías Olivera
Roma-Lecce 2-1 6′ Smalling, 39′ Strefezza (L), 48′ rig. Dybala

 

La classifica della Serie A dopo la 9a giornata

Napoli 23; Atalanta 21; Lazio, Udinese e Milan 20; Roma 19; Inter 15; Juventus 13; Sassuolo 12; Torino 11; Salernitana e Monza 10; Fiorentina 9; Empoli e Spezia 8; Lecce e Bologna 7; Verona 5; Cremonese e Sampdoria 3.

  

Perché la Juve ha davanti cinque anni di opposizione rigenerante e formativa

I risultati delle urne calcistiche, settimana dopo settimana, confermano i responsi dei sondaggisti. Appariva palese che non basta alla Juve aver vinto le battaglie dei sindaci (ultima, contro il Bologna) per mettere le mani sopra il bottino pieno: Massimiliano Allegri, tirrenico come Enrico Letta, guida una squadra slabbrata, demotivata, senza un senso, dallo scarso appeal verso i propri sostenitori. Capace di prendere imbarcate anche quando promette bene nei primi minuti, nonostante uno schieramento lineare e quadrato come il 4-4-2 di San Siro: il Partito Juvecratico, dominatore dei precedenti governi negli anni Dieci, appare rassegnato, non corre, lascia ampi spazi tra le zone del campo, praterie che altri occupano alla svelta. E nella memetica imperante già si parla di rifondazione, di azzeramento, “la Juve riparta da”: i giovani, le periferie, l’entusiasmo, l’opposizione alle nuove diarchie, certo anche il manico. I bianconeri devono, quindi, decidere in primis cosa voler essere, a chi rivolgersi, quale idea di calcio mettere in piedi: con gran calma, nel giro di cinque anni, i risultati positivi potrebbero arrivare in un paese adespota e facile terra di conquista. I candidati non mancano, ma non si dovrà partire dal leader.

 

Perché Brahim Diaz si è inopinatamente ripreso il Milan

Il rovescio della medaglia è un Milan che vince contando sopra risorse accantonate. La lunga trattativa per acquisire il diritto alle prestazioni sportive - così recitano i contratti e i successivi comunicati - di Charles de Ketelaere dava per scontato che il giovane belga sarebbe stato il trequartista centrale, con la fascia destra affidata all’opinabile duo Saelemakers-Messias. Eppure al Bruges il ventunenne dalle folte sopracciglia, qui sbrigativamente paragonato a Kakà, giostrava con profitto anche partendo dall’esterno. Al primo stormir di fronda, avrebbe detto Oscar Luigi Scalfaro, ovvero alla contemporanea assenza delle due ali, Pioli aveva due scelte: cambiare modulo (circostanza sempre più rara nelle alte sfere) o schierare Pobega quale incursore perrottiano nel 4-2-3-1, allargando il raggio d’azione di uno dei trequartisti centrali deputati. E in questa evenienza, qui sta l’occhio del tecnico, molto più utile il brevilineo Diaz: che in effetti ha fatto ammattire lo statuario Bonucci, poi Milik, Bremer e Alex Sandro, andando a segno in solitaria e riprendendosi, forse, un pezzo di Milan. Nelle squadre che funzionano succede così: non è ancora da “Stavamo bene insieme”, gran calma, ma che sia una squadra attrezzata e destinata a rimanere lo si vede anche da questa rivincita.

  

Perché esonerare costa fatica, anche quando è l’unica cosa da fare

A lasciarci le penne nel weekend è stato Gabriele Cioffi, il quale paga anche colpe non sue in un Hellas Verona che ha molte carte in regola per salvarsi senza troppi patemi. Chi invece sta ancora al suo posto, oltre all’ineffabile Allegri, è Vincenzo Italiano: appena rinnovato a giugno il suo impegno pluriennale con la Fiorentina, in campo smarrisce le doti mostrate lo scorso anno - da tempo a Firenze non si vedeva gioco - abbarbicandosi al suo 4-3-3 del tutto inoffensivo, e nemmeno più lezioso. Perdere 4-0 in casa, dopo risultati alterni e altri stenti, non è certo ciò che desiderava Commisso. E non è manco solo questione di modulo scolpito nel marmo, perché con la stessa impostazione (ma filosofie differenti) Sarri copre gli spazi a partire dalla difesa e gioca di prima in scioltezza, con una fluidità che la farraginosa Viola attuale può solo sognare. È chiaro a tutti che, se fino a qualche anno fa i presidenti non avevano troppi scrupoli nel rimuovere un mister, ora le valutazioni economiche fanno premio rispetto alla praticabilità di una stagione competitiva: concedono una gran calma surrettizia, fideistica e artificiale, quindi. Ma non costa di più cannare completamente ogni obiettivo?

 

Perché, a sei giornate dall’avvio del Mondiale, per alcuni calciatori già suona la campana

Naturalmente non può essere sempre e solo colpa degli allenatori, anzi. Dopo nove giornate è legittimo trarre alcune conclusioni: se la Fiorentina stenta, la fissazione di Italiano trova sponda nei flop di Ikoné e Jović. Se la Roma soffre più del lecito (e vince una partita importantissima, anche per la classifica presente e futura) dipende in parte dall’asfissia realizzativa delle punte centrali. O, per converso, a vedere il primo tempo a senso unico di Torino-Empoli più che gettare la croce agli attaccanti - anche Sanabria ormai è un meme, ma è parte dell’ingranaggio - non può che premiare il nazionabile Vicario, emerso come Provedel in chiave azzurra, in luogo degli scornati panchinari Cragno e Gollini (a proposito di portieri, visto Onana come il compianto Garella?). Mancano sei partite allo stop del campionato, e al fischio d’inizio di Qatar-Ecuador, intanto il mercato si incarica di dare ragione o fare giustizia delle avventatezze estive: se a Trento hanno esonerato il direttore sportivo che ha condotto i gialloblu di nuovo nel professionismo, anche nella massima serie chi sta dietro la scrivania potrebbe saltare come e più del trainer. E chissà se, con gran calma, un giorno verrà istituito un premio - modello bonus del fantacalcio - per le squadre che dominano nel tiro a segno e non vincono, vedendosi rifilare una sconfitta nell’unico contropiede come Borriello in Lazio-Genoa del 2012.

 

Perché è interessante osservare le mosse dei designati allenatori del futuro

In un campionato chiaramente policentrico, in cui una volta vince l’Inter e due la Lazio, una rimonta l’Atalanta e sempre l’Udinese, il Milan fa 3+3 e allo scudetto del Napoli mancano (anni), otto mesi e due settimane, forse è altrettanto piacevole seguire come si comportano alla lavagna - e sperabilmente sopra il manto verd e- i tecnici preconizzati alla guida di grandi squadre già nel prossimo avvenire. Marco Baroni, per esempio, rimasto in dieci non toglie una delle tre punte, mentre Andrea Sottil si vede ringhiare addosso Beto inizialmente mortificato, e Luca Gotti candidamente ammette che "nel calcio di oggi è bene tenersi qualche risorsa in panchina". Non è un mistero invece che il Paris Saint Germain, nella scorsa tarda primavera, stava per affidare la panchina a Thiago Motta. Non solo per la fugace esperienza alla guida dei suoi Under 19, quanto per le originali soluzioni tattiche apportate nella salvezza dello Spezia un anno fa: due su tutte, il lancio del centrale Kiwior davanti la difesa à la Desailly, e lo zambrottamento urgente di Gyasi in caso di necessità. Ora l’ex regista di Genoa e Inter allena il Bologna, dove sabato sera ha schierato i centrocampisti Aebischer e Dominguez a ridosso del riferimento Arnautović: apparentemente fuori ruolo, oltre ad aumentare la densità nei recuperi i due mediani hanno contribuito in maniera evidente alle azioni offensive e al gol, mescolando le carte dei ballottaggi e dei dubbi per le prossime giornate. Questo indica che, nella testa dell’allenatore, tutto è possibile e lascia intendere qualcosa di più rispetto alle sue idee di calcio: se e quando ci arriverà (gran calma), il Psg si ritroverà uno che ci pensa due volte, ma neanche troppo. E magari a un Beto non rinuncia mai.

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